II domenica del tempo ordinario – Anno C
Letture: Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11
Cana; un villaggio distante poco meno di 10 km da Nazareth. Una festa di nozze di amici di famiglia. Probabilmente, l’invitata originaria al banchetto era Maria, la madre di Gesù; Gesù e i suoi discepoli – ancora due per il momento: se fossero stati già 12 non credo sarebbero stati invitati tutti… – furono invitati quindi per riflesso.
L’aver partecipato a quel ricevimento, segnò un “punto di non ritorno” per Gesù, che esce in qualche modo allo scoperto; anche se poi conserverà un profilo basso ancora per qualche tempo.
Il matrimonio a quel tempo aveva un rituale lungo e complesso, con tutta una serie di segni e di procedure molto precise; era di fatto la stipulazione di un affare non solo affettivo, ma anche economico e sociale per le famiglie e il paese tutto. Il banchetto nuziale, da solo, durava ben sette giorni. Roba che neanche qui al Sud…
Dando per assodato che si capiva il contesto importante, l’evangelista Giovanni ci fa leggere le nozze di Cana come scenario in cui si sta consumando un matrimonio ben più importante: quello di Gesù con l’umanità!
Ma torniamo alla nostra festa. Ad un certo punto del banchetto, finisce il vino. Forse perché gli invitati avevano dato il meglio di sé, e avevano bevuto così tanto da far finire le scorte? Forse perché la famiglia dello sposo era povera? Giovanni però, un po’ maliziosamente, ci fa intendere che il problema fu semplicemente di organizzazione; diciamo che il “maestro di tavola” non era proprio “il re dei matrimoni”.
Il vino in quei contesti, era un elemento fondamentale del banchetto.
Il vino era il segno e il simbolo principale della gioia di fare festa. Finendo il vino, è come se finisse la possibilità di festeggiare con gioia!
No vino, no party.
Ma la gioia non può finire nel bel mezzo di una festa di nozze! Non è possibile! È impensabile! Un banchetto di nozze è un avvenimento troppo importante, non si può rischiare di stare con la delusione, le facce lunghe; e poi pensa alla figuraccia che avrebbe fatto la famiglia dello sposo! La festa deve continuare, the show must go on. E, senza vino, non si può fare.
Meno male che tra gli invitati c’era Maria, la prima interessata al fatto che gli sposi devono gioire, tanto più che – non sapendolo – si trattava proprio delle nozze del Figlio con l’uomo. E il primo passo per fare ricominciare la gioia, quando questa sembra scemare, ce lo suggerisce proprio lei: “fate tutto ciò che vi dirà”; non vi piangete addosso, non restate a rimuginare che non avete più vino. Fate qualcosa”; e questo qualcosa è ciò che Dio dice! Un ottimo consiglio anche per noi; prendiamo appunti.
E, come in altre occasioni, anche in questo caso Gesù non si contiene; se viene allo scoperto, deve fare le cose in grande, in quantità e qualità. Specie quando si parla di gioia. Per lui è la vita, queste nozze tra lui e l’umanità, che non può restare senza gioia, che non può non essere una festa.
Esagerato nel puntare alla qualità. Trasforma acqua in vino; trasforma cioè qualcosa di insapore e inodore in qualcosa di prezioso e buonissimo. È così anche nella vita: senza Gesù si rischia di festeggiare con l’acqua… con Gesù si fa festa a base di vino pregiato. E la gioia che ci offre Lui è veramente di qualità superiore.
Quel vino è talmente buono che gli invitati, già un po’ brilli – come ci dice tra le righe l’evangelista -, se ne rendono conto. L’usanza, accettata da tutti, era di iniziare i banchetti con un vino buono, quando gli invitati potevano apprezzarlo; quando però questi fossero stati sufficientemente allegretti per non capire più cosa avevano nei boccali, si poteva mettere a disposizione il vino scarso… chi se ne sarebbe accorto? Ad un certo punto, lo sappiamo, si beve più per inerzia che per gusto!
E poi la quantità: c’erano lì 6 giare con una capacità media di 100 litri ciascuna. Facendo un rapido calcolo, abbiamo 600 litri di (buonissimo) vino. 600 litri!!! Hai voglia di fare festa!
Sappiamo che Gesù non sarà poi alieno a miracoli di tale abbondanza; da lì a poco moltiplicherà due volte un paio di forme di pane e pochi pesciolini sfamando prima 5000 uomini, senza contare donne e bambini, e in una seconda edizione del miracolo addirittura 7000 uomini (sempre senza contare donne e bambini). Impressionante…
In entrambi i casi i Vangeli dicono che i pezzi avanzati furono portati via. Non è così a Cana; in quest’occasione sono stati più furbi: il vino se lo sono tenuto!
È significativo anche questo fatto; è come se Gesù ci dicesse che questa gioia non può finire, che non possiamo restare a corto di gioia. È una gioia che deve permanere, che deve poter essere a disposizione di tutti, sempre, lì a portata di mano. Ogni volta che ci festeggiano le nozze di Dio con l’umanità, sposi, invitati, annessi e connessi devono avere la possibilità di attingere ad una gioia inesauribile.
Il problema è che noi cristiani spesso viviamo la vita come se non avessimo più vino, e diciamo “vabbè, è finito, che ci vuoi fare… andiamo avanti con l’acqua”; ecco, questa cosa per Dio è inaccettabile.
Benigni (un comico: uno che di allegria se ne intende), si è convertito proprio quando ha capito che il Dio di Gesù Cristo è il Dio della gioia. Citando abbondantemente Papa Francesco (un altro che di gioia se ne intende), dice di diffidare dai cristiani poco gioiosi; probabilmente sono cristiani che ancora non hanno capito qualcosa di Gesù.
La conclusione della vicenda è perfetta per l’happy end: la musica riparte, riprendono le danze, si torna a fare festa, con il vino nuovo di Gesù. E i discepoli “credettero” in Lui. Credettero: gli diedero credito, decisero che era credibile, proprio in base a questa gioia.
Il nostro è un Dio credibile perché ci chiama a fare festa!