IV domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Letture: Ger 1,4-5.17-19; Sal 70; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
Li aveva sconvolti. Marco dirà addirittura che li aveva scandalizzati. E come dargli torto del resto? Un po’ pretenzioso il nostro Gesù: fino a qualche giorno prima aveva vissuto in mezzo a loro e adesso si presenta come Messia? Da non credere. Appunto.
E poi quel suo modo di parlare. Aveva detto di essere stato inviato a portare ai poveri un lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista e a rimettere in libertà gli oppressi. Cosa avevano da spartire loro con un simile annuncio? Erano forse poveri? O prigionieri? O ciechi? O oppressi?
Diciamo che il vero problema era un altro. Lui stava presentando un Dio alla portata di tutti: poveri bisognosi di un lieto annuncio, prigionieri che necessitano di una esperienza di liberazione. E questo ai Nazaretani non andava perché loro erano la stirpe eletta, loro erano “dentro” perché appartenenti al popolo dell’alleanza e quindi era impossibile accogliere qualcuno, fosse anche Dio che li provocasse ad allargare i loro orizzonti e le loro frontiere.
In fondo avrebbero dovuto essere contenti perché finalmente era giunto il liberatore e invece rimangono prigionieri della diffidenza perché non riescono a vedere altro se non il figlio di Giuseppe. Chiamati a dischiudersi, ad aprirsi, a lasciarsi interpellare, diventano incapaci di vedere ciò che sta accadendo sotto i loro occhi. La presunzione di sapere ha la meglio sulla disponibilità a lasciarsi interpellare.
Il ritenere tutto come ovvio finisce per non far riconoscere ciò che di diverso pure sta già germogliando, la familiarità finisce per dare tutto per scontato, l’abitudine finisce per leggere ogni cosa solo come ripetizione di un passato senza sbocchi. Non c’è posto per il nuovo attraverso il quale Dio si sta manifestando.
Questo atteggiamento nazaretano tradisce profonde convinzioni che attraversano il cuore di tanti credenti: quale novità mi può venire da ciò che mi sta abitualmente intorno? La salvezza non può mai venire da qualcosa di scontato e conosciuto. Poiché il quotidiano ha finito per diventare solo un succedersi di cose risapute, dagli altri non posso che aspettarmi se non ciò che io ho già previsto. Nulla di più.
Essi continuano a chiedere segni straordinari proprio mentre antiche profezie stanno compiendosi davanti a loro. La salvezza si compie solo per chi ha occhi per vederla e un cuore per accoglierla: c’erano molte vedove al tempo di Elia ma a nessuna di esse… c’erano molti lebbrosi al tempo di Eliseo ma nessuno di essi fu risanato se non Naamàn, il Siro.
Tragico il destino di quella sinagoga: per non essere stata capace di accogliere quella “carta conosciuta” che era Gesù, il figlio di Giuseppe, si priva di colui che Dio stesso aveva loro inviato. Più tardi, credendo di dar gloria a Dio, ne metteranno a morte il Figlio.
Qualcosa di nuovo accade nella nostra vita quando qualcuno acconsente a fidarsi del modo attraverso il quale Dio ha scelto di rivelarsi. La salvezza per noi viene sempre da ciò e da chi non ce lo aspetteremmo mai. E se Dio avesse scelto per parlarci il figlio del falegname? A noi la capacità di lasciarci interrogare.
p. Gianpaolo Gugliotta omi