Carissimi Confratelli Oblati e Laici Associati,
Lo scorso 25 gennaio, 200mo anniversario della nascita della nostra Congregazione, è stato un giorno di festa per la maggioranza delle nostre comunità oblate e per tanti laici che condividono con noi la vita di fede, il ministero apostolico, il nostro carisma missionario. Celebrazioni eucaristiche, veglie di preghiera, giornate di ritiro e di incontro, conferenze sulla storia della Congregazione, momenti conviviali e altro hanno caratterizzato il 25 gennaio e, per alcune comunità, anche i giorni immediatamente precedenti. Così, n’è venuta in evidenza una Famiglia viva, perché ricca di fede; giovane, perché dinamica; unità, perché animata dalla fraternità.
In questi giorni, rileggendo la Lettera Apostolica “A tutti i Consacrati” di papa Francesco, scritta in occasione dell’Anno della Vita Consacrata nel novembre 2014, mi è venuto il sospetto benevolo, viziato da un po’ di presunzione, che il testo fosse stato pensato proprio per il bicentenario oblato. Infatti, nella prima parte, il Papa elencava tre obiettivi per l’Anno dei Consacrati: guardare il passato con gratitudine; vivere il presente con passione; abbracciare il futuro con speranza. Che dire? Celebrando il 25 gennaio, non abbiamo fatto e avvertito tutto questo?
Guardare il passato con gratitudine. Non possiamo che essere fieri del nostro passato. Papa Pio XI ci definì “uomini delle missioni difficili”, perché conosceva la storia degli Oblati e la loro azione missionaria. Sentiamo gratitudine per ciò che è stato realizzato nel passato dai nostri Confratelli e per il patrimonio umano e spirituale che ci hanno trasmesso. Facendo memoria della vita di tanti Oblati audaci, mistici nell’anima e temerari nell’apostolato, troviamo la gioia di credere, la fierezza di essere missionari. Fare memoria della storia passata, più che un dovere, è un diritto che dobbiamo esercitare per non smarrire la nostra identità vocazionale e il senso di appartenenza alla Famiglia oblata.
Vivere il presente con passione. Questo si realizza se abbiamo amore per il Signore, per il suo vangelo, nella consapevolezza profonda, iscritta nell’esperienza personale, che solo Gesù salva: “Non una formula ci salverà” (Novo Millennio Ineunte), ma una Persona che ha dato la vita per noi e che è, oggi, viva e presente nella storia del mondo. La passione c’è quando ci giochiamo la vita “per Qualcuno” che è più grande di noi e ci assicura che nulla andrà perduto, che nulla è privo di senso di ciò che facciamo per fare conoscere la verità del vangelo.
Vivere il presente con passione là dove Dio ci ha inviati, compiendo con responsabilità il nostro impegno, con la certezza che Lui agisce nella nostra storia quotidiana. Annotava il gesuita Jean Pierre Caussade in “L’abbandono alla Provvidenza divina”: “Lasciar fare Dio e fare ciò che Egli esige da noi, ecco il Vangelo, ecco il principio generale della Scrittura. La fede è la luce del tempo. Letta nell’abbandono alla Provvidenza, la storia diventa una scrittura che Dio traccia ogni giorno sotto gli occhi dell’uomo di fede. In questo senso è una storia sacra, il seguito della scrittura, nella quale il cristiano trova il segreto per interpretare e penetrare la vastità dell’azione divina nella storia degli uomini”.
Abbracciare il futuro con speranza. Il Papa nella Lettera scriveva: “Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire (…) lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi”. La speranza sul nostro futuro la maturiamo nella fede, che ci assicura che il Signore abita la storia, compromettendosi in essa. Lo sappiamo: non la forza dei numeri ci salva (anche se il peccato di contarci e di quantificare la fede ci accompagna), ma la bontà di Dio, che irrompe come grazia, trasformando la nostra esistenza e rendendola capace di una testimonianza umana, spirituale e morale in chiave evangelica.
Ha scritto il teologo Heinrich Schlier: “Siamo abituati a definire la vita del cristiano come vita di fede. I cristiani sono i credenti. E sappiamo anche che la vita del cristiano deve essere vita di carità. Essere cristiani e non praticare la carità è cosa che non capiremmo. Ma che l’essere cristiani sia determinato sostanzialmente dalla speranza è invece idea che ci è meno vicina, talvolta ci è addirittura estranea. Eppure è così. Secondo il nuovo testamento è comunque possibile caratterizzare la vita del cristiano senz’altro come vita di speranza. I pagani sono coloro che non hanno speranza (cfr. Ef 2,12; 1Ts 4,13). E dunque i cristiani sono quelli che l’hanno”. Questa speranza la dobbiamo avere. Solo lei, come direbbe Charles Péguy, “virtù bambina irriducibile”, ha la forza di trascinare la nostra fede e la carità.
Carissimi Amici, auguriamoci reciprocamente una Quaresima ricca di preghiera e di gesti buoni verso tutti.
Frascati, Casa provinciale, 10 febbraio 2016
Inizio del Tempo liturgico di Quaresima
In J.C. et M. I.
vostro fratello,
padre Alberto Gnemmi, omi
(Provinciale)