II domenica di Quaresima – Anno C
Letture: Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36
L’episodio della Trasfigurazione fu un momento chiave per la comunità degli apostoli con il loro capo. Otto giorni prima c’era stato un annuncio che aveva spiazzato completamente gli Apostoli: Gesù aveva detto loro che sì, era il Figlio di Dio, ma il suo destino era di soffrire, venire arrestato e umiliato, messo a morte, morire e poi risorgere. Otto giorni in cui i 12 hanno dovuto fare i conti con questa verità; otto giorni in cui, stando al Vangelo non è successo nient’altro, di importante. Per cui l’esperienza raccontata oggi è come un fulmine a ciel sereno, uno squarcio improvviso nella “normalità” (se stare con Gesù si può chiamare “normalità”) del quotidiano.
Proviamo a metterci nei panni di Pietro e rivivere quella giornata. Avviene tutto così velocemente… tutto troppo velocemente, tanto che Pietro non ci capisce niente: la chiamata a seguirlo, lasciando gli altri sul posto (per cui Pietro, Giacomo e Giovanni si sono sentiti un po’ dei privilegiati…); il momento di smarrimento iniziale; poi la salita, l’affanno, il caldo, la stanchezza, il non capire bene perché si è saliti sul monte, la notte che scende, il sonno che ti prende; poi d’improvviso Gesù che si illumina, cambia aspetto diventando sfolgorante; l’apparizione di Mosè ed Elia, lo stupore, la gioia, le frasi senza senso, e poi la nube che li avvolge, l’oscurità, la voce che risuona, l’imbarazzo, la paura, il silenzio, il tremore… per poi vedere Gesù, solo.
Una pagina che è una chiave di lettura per la vita dei discepoli e la vita nostra; sia per la varietà delle esperienze che si susseguono in brevissimo tempo, sia per la velocità con cui esse si consumano.
Gli Apostoli sono costretti a vedere un po’ oltre ciò che già conoscevano; per la prima volta vedono Gesù nella sua gloria. In quel momento Gesù non è più semplicemente l’amico, ma il loro Dio; davvero l’attributo “Signore” è azzeccato. Non è più semplicemente il maestro che parla con autorità delle cose di Dio, con i superpoteri di guarigione; è davvero il Dio della storia fatto uomo, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe presente in mezzo a loro. Noi siamo tutti cristiani; sperimentiamo l’unità e la presenza di Dio nella preghiera, nella liturgia… ma se ci apparisse Gesù visibilmente, sfolgorante, non avremmo tutti paura? Non correremmo a nasconderci sotto ad un tavolo? Ecco, questa è l’esperienza che hanno vissuto i 3 sul quel monte.
Vedere poi la presenza di Gesù nella loro vita incastonata tra Mosè ed Elia, tra la Legge e i Profeti: ossia, tra la realtà di questa vita e il futuro, tra il cammino che si è fatto e quel che si farà, tra la concretezza e la possibilità, tra ciò che si è visto e ciò che ancora non si vede.
Attraverso questa esperienza infine, Pietro e gli altri sperimentarono il desiderio di vivere sempre al cospetto di questa bellezza, e al tempo stesso la paura di fronte a ciò che non si capisce, quando ti trovi davanti a qualcosa che ti sovrasta e ti supera.
Quante volte anche noi, nel turbine della nostra vita, passiamo da esperienze diverse in maniera veloce, sentendoci sballottati a destra e sinistra senza capire il senso. Presi e intrappolati nel vortice di un vissuto veloce e frenetico, spesso contraddittorio.
Si passa dalla fatica del quotidiano, nel salire le nostre “alte” montagne, all’esaltazione della presenza luminosa di Dio nella nostra vita. Si passa dal sentirsi a volte schiacciati dalla presenza di Dio, fino a percepirne l’assenza. Passiamo dalla luce più brillante al buio più totale. Passiamo dalla gioia piena alla pesantezza e alla paura.
Cosa c’è di vero in tutto ciò? Cosa è vero, e cosa no, in questo marasma di esperienze? Tutto è vero. Ma, soprattutto, c’è un’esperienza che è più vera delle altre, o meglio, la cui verità sovrasta tutte le altre e dona verità a tutto il resto.
È la verità di Gesù solo.
È vera la nostra sofferenza? Certo! E chi potrebbe negarlo? È vera la nostra gioia? Vera, ovvio! È vera la nostra fatica? Si. Come sono vere le paure, i periodi di difficoltà, le luci e i bui che viviamo, i periodi di esaltazione come quelli in cui non ci capisci proprio niente!
Ma, soprattutto, è vero quell’ultima esperienza, descritta nell’ultima frase: “videro Gesù solo”. Tutto è “vero” nella nostra vita, ma della nostra vita, alla fine, rimane Gesù solo.
La verità è che, se alzi gli occhi al cielo, ti ritrovi solo con Gesù; ed è questa esperienza, non altro, a dare senso a tutto il resto. Siamo chiamati a portarci questa esperienza “dentro”, nel silenzio, nell’intimità. Riconoscere quella presenza di “Gesù solo” nella nostra vita che saprà illuminarci e darci senso quando vivremo le altre cose.
Le alternative sono terribili. O passare la vita rannicchiati, con la testa tra e gambe, morti di paura e immobili, o girare continuamente lo sguardo da un’esperienza all’altra senza trovarne il senso.
Oppure, trovare il coraggio di fissare lo sguardo non su ciò che ci accade intorno, ma su Gesù, solo.