Tratto da: “Un anno con S. Eugenio e i suoi Oblati” di p. Fabio Ciardi. 1 marzo.
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Nato a Villorba, in diocesi di Treviso (Italia), il 9 agosto 1932, egli stesso racconta l’origine della sua vocazione: “In un’ora di adorazione privata davanti al Santissimo esposto nella cripta del seminario capii con chiarezza che il Signore mi chiamava ad essere missionario, per mettere tutta la mia vita nelle sue mani… La missione era per me un richiamo alla santità personale e al servizio della Chiesa universale”.
Missionario nel Laos, professore di missiologia, formatore, Marcello Zago è stato un convinto assertore della vocazione missionaria di ogni cristiano: “La missione ad gentes per la Chiesa non è facoltativa”.
Segretario del Segretariato per i Non Cristiani presso la Santa Sede, ha lavorato con passione per il dialogo interreligioso, specialmente con il mondo buddista di cui era profondo conoscitore. Fu eletto superiore generale al primo scrutinio il 13 settembre 1986. È stato uno dei principali organizzatori della Giornata di preghiera per la Pace tenuta ad Assisi il 27 ottobre 1986. Il 28 marzo 1998 il Santo Padre lo nominò Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e arcivescovo titolare di Roselle. Muore il 1° marzo 2001.
Lascia molte lettere alla Congregazione e una ricchissima bibliografia (cf. M. Rostkowski, Il patrimonio teologico e missiologico di Mons. Marcello Zago, o.m.i., “Vie Oblate Life”, 59 (2000), p. 295- 429), tra cui: Sur les traces de st. Eugenio. Lettres et testes sur la formation, Rome, 1997, 236 p.
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Il primo atteggiamento missionario è quello di amare le persone e i gruppi umani a cui si è inviati, con la loro storia e la loro cultura, con i loro valori e anche con i loro difetti. Incontrando dei missionari che vedevano solo i difetti dei popoli ai quali erano inviati, dicevo che dovevano lasciare quella missione e impegnarsi altrove, oppure che dovevano convertirsi. Amare la gente da evangelizzare è, infatti, condividere l’atteggiamento stesso di Dio e del Cristo. Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da inviare il suo Figlio (Gv 3, 16). E il Cristo ha tanto amato i suoi no a dare la sua vita per loro (Gv 13, 1). E “i suoi” è l’umanità di tutti i tempi, per la quale ha dato la sua vita.
Quest’amore però non è cieco. Ama anche quando riconosce i difetti oggettivi e si adopera per correggerli. È un amore che discerne e più ancora favorisce il bene negli altri, anche se non è in nostro potere crearlo come fa Dio nei nostri confronti. E, per amare, bisogna accettare l’altro e il contesto in cui si trova. Bisogna accettare la società pluralista, composta di gruppi con visioni diverse. Bisogna accettare i giovani con la loro cultura. Bisogna accettare gli immigrati, ecc.
Accogliere l’altro e il suo contesto non significa approvare tutto e lasciarlo intatto, ma farlo crescere secondo il piano di Dio, e le esigenze interne.
Amare significa donarsi per l’altro, lasciando famiglia e cultura, sicurezze e avvenire come si testimonia col lasciare il proprio paese. Nei paesi missionari questo dono diventa sempre più di frequente sacrificio della propria vita fino al martirio.
(La missione ad gentes interpella la Chiesa che è in Italia. Nuovi areopaghi della Missione. Conferenza in occasione del Convegno Missionario Nazionale, Belluria, 10-13 settembre 1998)
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In Memoriam Marcello Zago, O.M.I. 1932-2001, “Vie Oblate Life”, 62 (2003), p. 157-502.
P. Gheddo, Marcello Zago. Una vita per la Missione, Editrice Missionari OMI, Roma 2005, 134 p.
F. Ciardi, Marcello Zago, uomo del dialogo. Un’antologia, Ancora, Milano 2007, 136 p.