III domenica di Pasqua – Anno C
Letture: At 5,27-32.40-41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
Può una pagina del vangelo essere “triste”? Soprattutto una pagina che racconta della Risurrezione? Secondo me sì. È una mia opinione, o meglio, si tratta di una mia “reazione” personale… ma quando leggo il Vangelo di oggi, mi prende il magone. A me questa pagina sembra impregnata di tanta tristezza!
Per carità, non sto dicendo che è una pagina poco “valida”, anzi! Il significato che c’è dietro queste righe è densissimo e profondo, e ogni parola trasuda di vita, di senso, di significato, appunto. Basti pensare solo alle tre domande che Gesù rivolge a Pietro, su cui sono stati scritti fiumi e fiumi di inchiostro. Però… che ci posso fare? Se provo a immaginarmi la scena, me l’immagino cupa, buia, con un grigiore di sottofondo. Non vedo trasporto, non vedo gioia, non vedo allegria in questa scena! L’unica eccezione è data da Pietro che, dopo aver riconosciuto che Colui che lo chiama dalla riva è il Signore, si butta in acqua; ma è una cosa che dura poco…
Del resto, la scena raccontata inizia di notte, quando è ancora tutto buio. La prima cosa in cui ci si imbatte, è un gruppo di 7 apostoli – a parte Giuda, non sappiamo dove siano finiti gli altri; sappiamo però che stavolta, a differenza di domenica scorsa, Tommaso c’è – che vivono un’esperienza di vicinanza, sì, ma anche di grande individualità. Pietro sembra che voglia fare le cose da solo: “IO vado a pescare”, e che gli altri lo debbano rincorrere: “aspetta Pietro, veniamo anche noi con te”. Poi la delusione della nottata infruttuosa: musi lunghi e facce appese, gli occhi bassi per la fatica e la notte sprecata. Il nervosismo che trapela da quel “No!” secco dato in risposta a Gesù. E poi, mi sarei aspettato una reazione, magari anche un minimo di resistenza, all’invito a gettare la rete dalla parte destra della barca; o almeno un cenno di gioia quando tirano su la rete stragonfia di pesci.
E invece no. Niente. Arrivano a riva, sanno che c’è il Signore, e stanno tutti zitti. Neanche un po’ di festa, un saluto, niente! Anzi, addirittura hanno paura perfino a domandargli “chi sei?”! Sembra un gruppetto di cagnolini bastonati, infreddoliti, diffidenti, timorosi, rannicchiati su loro stessi. Mangiano in silenzio. Dico, ti appare il Signore Risorto, ti fa fare una pesca straordinaria, ti fa trovare la colazione pronta sulla riva, ti rimette “a tavola” con Lui, e questi non hanno il minimo moto interiore! Non una parola, non un sorriso, non un accenno di allegria… sembrano degli zombies, totalmente passivi e indifferenti a ciò che avviene attorno a loro.
Neanche Pietro, cui Gesù rivolge per tre volte una domanda fondamentale: “Pietro, ma tu mi ami?”; fossi stato io non so cosa avrei fatto… mi sarei gettato a terra, mi sarei rotolato sulla spiaggia per la gioia, mi sarei buttato al collo di Gesù e me lo sarei sbaciucchiato (avrei fatto sì come i cani, ma non come i cani bastonati; piuttosto come quei cagnolini che non smettono di far festa quando rivedono il padrone che torna a casa, altrochè!). E invece Pietro, a cui è stato domandato: “mi AMI?”, risponde per tre volte con un tiepido “sì, ti voglio bene…”. E la terza volta si risente pure!
Infine, l’invito finale: quel “seguimi” che – nelle ultime righe con cui poi termina il Vangelo di Giovanni, che non abbiamo letto, e che sono più o meno sullo stesso tono di triste andante – viene accolto con un po’ di riserve, andando a fare i conti in tasca a Giovanni (“Ok, io ti seguo e morirò per te, ma… e lui? Lui che farà?”)
Ma perché? Perché tanta tristezza? Il Vangelo non dovrebbe sprizzare gioia, essere sempre luminoso e scoppiettante? Ok, sarà pure solo una mia impressione, sarà probabilmente solo una mia fisima il fatto di non trovare gioia in questo racconto… però questo fatto mi faceva pensare. Del resto, noi sappiamo che poi i discepoli lo hanno seguito, e sono morti per Lui; ma, di fatto, questo Vangelo non ce lo racconta! Lascia una cosa in sospeso, una specie di incompiuta!
E mi veniva in mente il finale della Parabola del padre Misericordioso. Anche lì, non sappiamo se l’invito del figlio maggiore sia stato accolto, se sia entrato a fare festa o sia rimasto fuori. Un modo per invitare il lettore a prendere posizione, a decidersi. Con una domanda non scritta che aleggia in sottofondo: “e tu, che faresti? Come reagiresti? Da che parte stai?”. Ecco, la stessa cosa credo che capiti qui.
Forse questa pagina è un grande ammonimento. Forse il messaggio è un avviso su un pericolo da evitare. Noi, come Chiesa, possiamo essere come quel gruppo di 7 apostoli che sanno bene che il Signore è risorto; lo sanno bene. Ne hanno fatto esperienza.
Ma, ogni tanto, se lo dimenticano. O meglio, se lo ricordano con la testa, ma lo dimenticano con il cuore. Dimenticano – dimentichiamo – l’importanza e la potenza di questa presenza nella nostra vita. È risorto, ve bene, ma poi se spegni questo ricordo (ricordo: letteralmente “riportare al cuore”), ti trasformi in una comunità disgregata. Se ti capita di vivere una delusione, e di ritrovarti a mani vuote, pensi sia normale e non ci sia nulla da fare.
Per cui c’è bisogno di qualcuno che ce lo ridica, che ci sproni. Che all’affermazione “Il Signore è risorto!” ci faccia passare dal rispondere “Si, lo so” al “Sì, lo vivo!”. Qualcuno che ci faccia fare – come con Pietro – un tuffo nell’acqua fredda del mattino e ci svegli! Oh! Il Signore è risorto? Te lo ricordi? Ce l’hai presente? Lo sai che c’è sempre un’alternativa, una parte destra della barca verso cui tirare le reti? Ti ricordi di trasformare la tiepidezza del “ti voglio bene” nell’amore più grande? Altrimenti sei Chiesa, sì, ma Chiesa triste. Sei cristiano, sì, ma cristiano triste.
Che rischia di perdere l’appuntamento con il Signore che “alla fine della notte, STA sulla riva”.