Tratto da: “Un anno con S. Eugenio e i suoi Oblati” di p. Fabio Ciardi. 13 aprile.

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Carissimi fratelli, dai primi momenti della nostra partecipazione all’amministrazione della diocesi di Marsiglia, cioè dal ristabilimento della sede episcopale nel 1823, prima ancora che fossimo elevati all’episcopato, nutrivamo il desiderio di istituire, tra noi, a imitazione di Roma e delle grandi città d’Italia, l’adorazione solenne e perpetua del Santissimo Sacramento dei nostri altari. Molte volte nel nostro spirito abbiamo cercato i mezzi per realizzare questo pensiero così giustamente caro al nostro cuore, ma sempre siamo stati fermati dalla difficoltà costituita dal numero troppo piccolo di chiese della nostra diocesi. (…) Offrivamo al Signore i nostri pii desideri e gli domandavamo di suscitare qualche mezzo che liberasse dall’ostacolo di cui si lamentava la nostra pietà verso Gesù Cristo nel sacramento dei nostri altari.

Non abbiamo sollecitato invano questo favore. La Congregazione dei Padri del Santo Sacramento è venuta a domandarci l’autorizzazione a formare una comunità nella nostra città episcopale. Abbiamo accolto questa congregazione nella speranza di trovare, col suo aiuto, una facilitazione nella realizzazione dei nostri desideri.

Carissimi fratelli, abbiamo grande gioia nel comunicarvi questa soluzione desiderata così a lungo e adesso vorremmo farvi penetrare dei sentimenti che si trovano nella nostra anima e farvi apprezzare, nel modo dovuto, la grazia offertavi dalla misericordia e dall’immenso amore di nostro Signore Gesù Cristo.

Ecco di cosa si tratta: il nostro scopo è farvi gustare più perfettamente la felicità di possedere il nostro divino Salvatore e di procurarvi, attraverso il culto più prezioso dato alla sua adorabile persona, una partecipazione sempre maggiore alle grazie che sgorgano dalla sua pienezza. (…)

Anche se in uno stato di gloria come nel cielo, [Gesù] nella sua Eucaristia è misticamente, in uno stato di immolazione e di vittima come sulla croce. È l’Agnello di Dio immolato dall’inizio del mondo (Ap 13,8) per la salvezza degli uomini. Non solo è la vittima, ma an- che il sacerdote che si offre e si immola incessantemente per noi. È il pontefice sempre vivo per intercedere a nostro favore (Eb 7,25), attirare su di noi tutte le grazie meritate dal suo sacrificio, stornare lontano da noi i colpi della giustizia divina e proteggerci con una preghiera sempre esaudita contro i castighi in cui ci farebbero incorrere le nostre infedeltà.

Ecco, carissimi fratelli, Gesù Cristo come è nel sacramento dei nostri altari. Per poco che siamo animati dalla fede e dalla carità, potremmo, non diciamo disconoscerlo, ma anche semplicemente trascurarlo quando colui che il cielo e la terra non possono contenerlo, per amore nostro, si è chiuso nello stretto spazio delle specie eucaristiche? Veramente ha annichilito se stesso (Fil 2,7) per noi, come fece nella sua incarnazione quando prese la forma di schiavo (Fil 2,7). Ha fatto ancora di più, nel divino Sacramento ha voluto diventare nostro cibo, incorporarsi a noi per rendere la nostra unione con lui ancora più intima e, in qualche modo, identificarci con Lui. Ancora una volta: potremmo trascurarlo in quello che è lo stato dell’amore nella sua espressione più alta?

(Eugenio de Mazenod, Lettera pastorale, 21 dicembre 1859)