Fratelli e sorelle, celebriamo Duecento anni di storia, della nostra storia oblata. Se c’è una parola di Dio che echeggia in questo stare insieme come popolo di Dio, una parola che tocca le corde della nostra anima, è la parola che ci ha fatto pregare il salmo: Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza. Ti vogliamo benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Duecento anni. Duecento anni di storia della nostra Famiglia religiosa, una storia che si è innestata nella storia della Chiesa, una storia che si è inserita nell’esperienza salvifica del cristianesimo, con il sì di Eugenio de Mazenod, che si è arricchita, in questi 200 anni, con il sì di circa 15mila Oblati. Una storia che oggi si realizza con l’azione spirituale e pastorale di quasi 4000 Oblati viventi …. e con voi laici, perché oggi, più che nel passato, siamo consapevoli che voi siete parte e partecipi del carisma, perché tutti formiamo la Chiesa che è nella sua natura missionaria, ossia mandata dal suo Signore e Cristo a raccontare la verità del Dio vivente, del Dio della storia, del Dio di Gesù Cristo, il Padre dell’umanità.
Amici, la forza della festa che viviamo, la gratitudine che sentiamo nel profondo dell’anima per questi 200 anni di storia oblata, la speranza che germina da questa esperienza e che ci fa guardare al presente e al futuro con lo sguardo del Risorto, Colui che fa nuove tutte le cose, è un invito pressante per sentire vera per noi quella parola amica che Gesù ha rivolto al pubblicano Zaccheo di cui ci ha parlato il Vangelo in questa domenica: “Scendete dall’albero, perché vengo da voi, voglio stare con voi, fare festa con voi, perché abbiate la vita, perché abbiate la fede, perché abbiate la gioia di essere cristiani, perché abbiate la responsabilità di comprendere la grazia del dono della fede che vi rende capaci, abili di raccontare con la vita e con la parola la misericordia di Dio che in Gesù, nostra Pasqua, si è manifestata”.
Ora, con voi, con lo sguardo su Gesù Crocifisso – nel segno dello sguardo sperimentato dal nostro Fondatore in quel notissimo venerdì santo del 27 marzo del 1807, quando si lasciò conquistare dall’amore del Salvatore, quando scopri che quell’amore era per lui, per la sua conversione, soprattutto che rappresentava un appello ad una chiamata che gli avrebbe cambiato la vita -, vorrei evidenziare alcune realtà che hanno caratterizzato e continuano a contrassegnare questa nostra storia bisecolare e per queste realtà esprimere un inno di gratitudine al Signore. Ne indico quattro, ma ognuna è un contenitore di altre esperienze che hanno fatto e fanno questa storia sacra della Famiglia dei Missionari OMI.
1) Fissiamo il Crocifisso e ringraziamo Dio innanzitutto per il dono del carisma. Tanti sono stati e continuano ad essere i carismi missionari nella Chiesa. Noi sentiamo come Oblati di ringraziare Dio per aver consegnato questo carisma alla Chiesa (andare ad evangelizzare i poveri) attraverso il cuore di Eugenio de Mazenod, in un momento particolare della storia civile e del cristianesimo in Francia.
Questo carisma è un dono, è una manifestazione dell’amore salvifico di Dio alla Chiesa e all’umanità. E’ un carisma di cui ha bisogno la Chiesa, tutta l’umanità, come più volte ci ha detto il nostro Padre Generale, perché il nostro carisma si attualizza là dove annunciamo ai lontani la misericordia di Dio, il suo amore salvifico, amore che redime. E noi sappiamo per esperienza personale e pastorale di quanta misericordia divina, di quanta salvezza, di quanto amore riconciliante ha bisogno ogni uomo, questa umanità ferita dal male, che è sempre esperienza di ribellione, di divisione, di orgoglio, di tensione al dominio e al possesso, nel groviglio senza fine di ingiustizie e violenze.
Il carisma ci dice che la nostra storia oblata è, innanzitutto, storia divina, storia che custodisce il soffio dello spirito che crea e fa germogliare, che ricrea e rinnova ogni cosa nella logica della verità che è comunione e bellezza. Se volessimo cogliere il cuore del carisma attraverso gli appelli concreti rivolti alla Congregazione, citerei due affermazioni del Superiore generale, p. Fernand Jetté, espresse durante un convegno su “missione ed evangelizzazione” nel 1983: “… gli Oblati sono chiamati ad amare l’uomo come Dio l’ha amato; gli Oblati devono incarnarsi nell’uomo, avvicinarsi a lui, entrare nella sua vita, nella cultura, come ha fatto Gesù”.
Sì, oggi, noi ringraziamo la Trinità, Dio che è amore, per questo dono di bontà e di misericordia che è il carisma oblato, carisma innestato sulla comunità apostolica, ossia sulla comunione fraterna in Gesù e sulla testimonianza del vangelo, parola che scuote annunciatore e ascoltatore, provocandoli alla carità, al perdono, vie che conducono all’incontro con la verità di Dio che è Amore che salva, ossia, misericordia e riconciliazione.
2) Pensando agli Oblati e a quanti si sono lasciati toccare dal carisma, vorrei con voi ringraziare il Signore per un suo dono che ha marcato la nostra storia bisecolare: l’ audacia missionaria. Sì, ringraziamo Dio che è audace con la sua Chiesa; che è stato ed è audace con noi Oblati. In questi 200 anni noi vediamo l’azione dello Spirito del Risorto che fin dalle origini, ci ha provocati ad essere dalla sua parte, dalla parte del suo vangelo, dalla parte della missione, pur noi così fragili, poveri, peccatori. Quindi, audacia di Dio, ma anche audacia della Congregazione, che nei suoi uomini ha saputo adempiere il carisma: Evangelizare pauperibus misit me. Pauperes evangelizantur.
Questa audacia, dono dello spirito, la troviamo negli ideali missionari del nostro Fondatore, quando, ad esempio, affermava “che bisogna fare di tutto, ogni sforzo per estendere l’impero del Salvatore”; oppure, quando scriveva nel suo diario nel 1849: “Vorrei avere missionari per tutte le missioni del mondo”. D’altra parte, tutta la vita del fondatore è stata sotto l’incipit dell’audacia, a partire dai suoi anni giovanili come sacerdote (ministero tra i giovani e nelle carceri, predicazione in patois, affinché i poveri potessero comprendere le verità della fede), nel momento della fondazione nel 1816, così come nel 1826, quando si recò a Roma per chiedere a papa Leone XII l’approvazione delle CCRR. Ma l’audacia del Fondatore la si coglie verso la missione ad gentes: dal 1841 al 1852, invia gli Oblati in tre Continenti: in Canada nel 1841, quando la Congregazione non ha ancora 50 membri (fino al circolo polare artico, dando inizio a quella che sarà per gli Oblati “l’epopea bianca”); nell’isola di Ceylon/Asia nel 1847 (in questo primo gruppo di missionari, c’è anche un italiano, un giovane oblato ligure di appena 34 anni, padre Stefano Semeria: diventerà vescovo nel 1857); in Sudafrica nel 1852 (nel gruppo, con a capo Mons. François Allard, c’è un diacono di 21 anni, un certo Joseph Gérard: sarà il grande evangelizzatore del popolo Zulu, beato nel 1988).
Ha scritto padre Jetté: “In Eugenio, l’audacia apostolica ha prevalso sulla prudenza”. Se oggi siamo presenti in quasi 70 paesi del mondo, questo lo si deve a questa audacia del fondatore, alla sua vita santamente imprudente, giocata totalmente per l’evangelizzazione dei poveri, dei lontani, nei luoghi più difficili. Da qui si comprende la definizione di papa Pio XI degli Oblati: specialisti delle missioni difficili.
E l’audacia per le missioni difficili ha fatto sì che la nostra Congregazione conti una schiera impressionante di martiri (vi invito a leggere la prima parte del libretto che avete tra le mani per questo evento, dove sono riportate le storie di martirio di tanti Oblati). In riferimento alla nostra Provincia, menziono i nostri 22 beati martiri spagnoli del 1936 e il nostro futuro beato martire Mario Borzaga che, insieme al suo catechista e ad altri cinque oblati francesi martiri nel Laos, sarà beatificato a Vientiane il prossimo 11 dicembre.
La storia della Chiesa è sempre storia anche di martiri, di testimoni esemplari di una vita donata per il Signore e per il suo vangelo. Agli Oblati non sono stati fatti sconti. Oggi siamo fieri di essere gli OMI anche grazie a loro.
Concluderei questa parte sull’audacia, dono dello spirito, guardando all’Italia. Penso all’audacia missionaria di alcuni Oblati dell’Italia: credo che i nomi che citerò possano evocare l’audacia per la missione nelle sue diverse forme e nei diversi contesti geografici:
- Il Servo di Dio p. Mario Borzaga, Mons. Lionello Berti, p. Natalino Sartor, p. Antonio Zanoni, p. Bramante Marchiol, missionari nel Laos: la loro vita è lo specchio fedele dei tanti Oblati italiani che hanno dato i loro anni migliori e le loro energie per impiantare la Chiesa in questo piccolo paese asiatico;
- Padre Pietro Bignami, p. Giosuè Berbenni, p. Alessandro Costa, p. Antonio Ostan, p. Giuseppe Peroni, p. Antonio Alberti: “missionari da leggenda”, alcuni tra i ghiacci del Canada, fino al circolo polare artico nella missione di Oxford House, altri tra gli indiani delle grandi praterie dell’Ovest;
- Padre Prospero Rigollet, p. Giacomo Melga, p. Firmino Agaccio, p. Savio Crevacore, p. Gallo Balma Agostino, missionari nel’isola di Ceylon: missione tra i poveri, dove l’inculturazione era d’obbligo;
- Padre Massimo Kratter, p. Amadio Vitali, p. Giovanni Santolini, p. Giuseppe Marino: uomini tenaci nella calda Africa, semi che hanno portato frutto;
- Padre Piero Bonometti, p. Antonio Bocchi, p. Pancrazio di Grazia, p. Mario Bertoli: gli irriducibili del Laos e poi dell’Indonesia;
- Padre Pietro Centurioni, p. Giuseppe Borghese, p. Donato Cellie: missionari nell’America Latina, pionieri in quella che sarà la Delegazione dell’Uruguay;
- Padre Leandro Baron, p. Gaetano Nanni: missionari in Australia, andati come “emigranti con e per gli immigrati italiani”;
- Padre Ferdinando Anzalone, p. Giuseppe Ferecchia, p. Archimede De Luca: i fondatori della parrocchia di San Nicola a Palisades Park nel New Jersey (Stati Uniti), salvadanaio delle nostre case di formazione negli anni del secondo dopoguerra;
- Padre Carmelo Gagliardoni, p. Vladimiro Manente, p. Pasquale Lanese: nel Texas (Stati Uniti) con la tempra dei cowboy, il primo, per oltre 55 anni ha lavorato in questa terra, definito oblato perfetto e sacerdote al cento per cento per la sua attività incontenibile;
- Padre Giovanni Canfora, p. Gaetano Destro, p. Vincenzo Anzalone, p. Aurelio De Maria, p. Filippo Petrucci, p. Alberto Masi, p. Francesco Milardo, p. Vincenzo Carfora, p. Giovanni Colombo, p. Fausto Pelis, p. Marino Merlo, p. Angelo Dal Bello: alcuni formatori, altri educatori, altri ancora uomini di teologia o di sapienza spirituale; comunque, Oblati che hanno formato altri Oblati;
- I fratelli Luigi Sisto, Antonio D’Amico, Andrea Cianciullo, Giuseppe Bigliani, Girola Emilio, Andrea Palladino: “Apostoli sconosciuti”, come padre Pierre Duchaussois aveva definito in un suo libro i Fratelli Oblati, per non aver osato scrivere ciò che avevano fatto con la loro testimonianza umile e laboriosa per la Congregazione e per l’espansione missionaria;
- Padre Sebastiano Abramo, p. Amilcare Torriani, p. Angelo Bennati, padre Vincenzo Basso, p. Ettore Andrich: Oblati per la missione popolare sic et simpliciter;
- Padre Luigi Rossetti, p. Emidio Del Re, p. Gaetano Drago, p. Luigi Petrin, p. Carlo Irbicella, p. Eremigio Salzillo: uomini che non si sono tirati indietro davanti a significative responsabilità di governo;
- Padre Giovanni Moretta, padre Vittorio Gazzola, p. Ferdinando Castaldi, p. Espedito Iammarino, p. Angiolino Di Lizia: parroci tutti d’un pezzo, con temperamenti diversi, ma determinati nel guidare le loro comunità;
- Padre Gaetano Liuzzo, p. Carmelo Conti Guglia, p. Luciano Cupia: irriducibili, tenaci nel portare avanti i loro progetti;
- Padre Anselmo Trèves, p. Mario De Rosa, p. Agostino Argentieri: non si è Oblati se non si è mariani con la devozione e l’approfondimento teologico;
- Padre Armando Messuri: discepolo autentico di Gesù, oblato capace di riconciliare e di perdonare, custode dal cielo della vita di tanti giovani in discernimento vocazionale;
- Mons. Marcello Zago, Mons. Maturino Blanchet, due vescovi diversi per temperamento, ma anche per teologia (nati a distanza di quant’anni esatti), però entrambi animati da una grande passione per la Congregazione e la Chiesa.
(La lista potrebbe continuare … l’audacia missionaria è stata di tanti altri. Anzi, voglio credere che sia stata di tutti gli Oblati secondo la chiamata e la missione ricevuta dallo spirito del Risorto).
3) Esprimiamo un terzo grazie a Dio, conciso ma intenso, per tutti voi presenti – consacrati e consacrate in Istituti o Associazioni ispirati dal carisma oblato, e a voi laici, qui numerosissimi -.
Guardando alla Congregazione nel suo insieme, oggi vogliamo ringraziare il Signore, perché, dal carisma e attraverso alcune figure particolari di Oblati, “sono sorti ben 46 istituti maschili e femminili: famiglie contemplative, congregazioni religiose, istituti secolari, che comprendono circa 16.000 persone consacrate”.
Guardando alla nostra Provincia e a voi che siete qui a rappresentarla, vogliamo dire grazie all’intera Famiglia Oblata: – AMMI (cuore del nostro laicato e da sempre compagna di viaggio nella spiritualità e nella missione degli OMI), MGC (cuore giovane del nostro laicato e suo futuro), Istituto COMI, OMMI; e come germogli che vengono da radici oblate: il COMI, Centro la Famiglia, Oasi Cana e altri gruppi che si ispirano al carisma o all’azione di qualche oblato o comunità oblata.
Grazie, perche ci siete, grazie per essere cristiani testimoni, testimoni nel mondo e testimoni con il vostro ministero missionario come catechisti, operatori Caritas, animatori ed educatori di gruppi giovanili, di gruppi famiglia, come missionari nelle missioni popolari. Il cardinale belga Joseph Suenens diceva al Concilio che “i laici sono il gigante da svegliare”. Voi siete svegli, vigili, attivi. Voi siete un popolo pieno di vita, di gioia e di passione per Gesù, per la Chiesa, per il Vangelo: grazie!
Domani, il cristianesimo sarà vivo, fecondo, non importa se minoritario, se tutti noi, consacrati e laici, noi popolo di Dio, popolo di battezzati, sapremo custodire l’Eucarestia e lo slancio missionario a partire dalla nostra testimonianza di unità fraterna, di comunione di sentimenti e di fede. Domani, il Cristianesimo continuerà ad offrire speranza e ad irradiare la sua verità, se sapremo, anche noi Oblati, essere missionari in comunità apostoliche, se voi laici e laiche, voi laici e laiche consacrati, sarete interpreti gioiosi e convinti dell’evangelo, con uno stile di vita marcato a fuoco dalla prossimità e dalla misericordia.
4) Infine, insieme, ringraziamo per il dono di Maria, per il dono dell’Immacolata. “Patrona della Congregazione (…) L’avranno sempre per Madre”, recita la Costituzione 10. Come Lei, vogliamo essere uomini e donne della Parola accolta e restituita. Uomini e donne di fede e di carità. A lei, tutti noi chiediamo la sua potente intercessione materna per essere forti, per essere puri, per essere apostoli. Per essere cristiani e missionari, per essere degli Oblati per la missione verso i poveri dai tanti volti. Come voleva, e come ce lo chiede oggi, più che mai, il nostro Fondatore. Amen.