In attesa da cinquantasei anni. Più del doppio di quelli che aveva Mario quando, alla fine di aprile del 1960, partì verso un villaggio del Laos senza farne ritorno. Lucia Borzaga, sorella di p. Mario, con pazienza e perseveranza ha atteso tanti anni per il riconoscimento ufficiale da parte della chiesa intera del martirio del fratello. Consacrata nell’istituto secolare delle Oblate Missionarie di Maria Immacolata (OMMI), volto sempre sorridente e disponibile, non ha mai smesso di raccontare e testimoniare dovunque l’esperienza vissuta da p. Mario, comprese le prove e le speranze della sua famiglia. Più giovane di cinque anni rispetto a Mario, aveva con lui un forte rapporto che è continuato anche dopo, quando il fratello lasciò casa a 15 anni per entrare in seminario e non cambiò neanche dieci anni dopo quando partì missionario in Laos. Poco più che ventenne quando di lui si persero le tracce, è oggi una splendida signora che ha finalmente avuto la gioia di assistere al riconoscimento del martirio del fratello da parte di papa Francesco. Le abbiamo chiesto di raccontarci le sue sensazioni ed emozioni.
Come vive da ‘sorella’ la beatificazione di Mario?
Il 5 maggio 2015 è stata una data particolarmente felice. Il Decreto di beatificazione firmato da papa Francesco è stato il punto di approdo di un lungo e sofferto cammino. Come dimenticare lo scorrere dei mesi e degli anni nell’attesa di una qualche notizia: p. Mario e Xyooj, il suo fedelissimo catechista, dispersi sulle alte montagne del Laos, il loro corpo mai ritrovato. L’attesa delle mamme, nelle lacrime e nella preghiera, si affonda nella certezza di un loro ritorno. Lunghi anni di sofferenza. Come posso dimenticare il martirio della mia famiglia. Le lacrime della mamma e il dolore silenzioso del papà, in attesa del figlio disperso, costantemente e generosamente offerti per la chiesa laotiana, senza avversione o risentimento, ancora e sempre attenti alle sue necessità come se Mario fosse in missione. Mai come in questo periodo la chiesa è irrorata dal sangue dei martiri, ma non dimentichiamo che accanto al martirio di sangue si affianca sempre il martirio delle famiglie: le lacrime delle mamme, delle spose, di tanti figli orfani. Il martirio di sangue fiorisce in seno alla chiesa accanto al martirio del silenzio.
Che aria si è respirata a Trento in vista di questo avvenimento e in particolare come lo vive l’Associazione ‘Amici di p. Mario’?
Nel 1982 i compagni di seminario di mio fratello lo ricordarono nel 25° di ordinazione sacerdotale nella parrocchia di sant’Antonio a Trento, con una concelebrazione solenne presieduta dall’arcivescovo di Trento, mons. Alessandro Maria Gottardi concelebranti mons. Alessandro Staccioli OMI, sacerdoti diocesani, Oblati e con la partecipazione di numerosissimi fedeli. Fu di questo tempo la prima stampa del “Diario di un uomo felice”, il suo diario. Dallo scritto emerge la chiamata al martirio e al martirio di sangue, il suo vivere la santità e le virtù cristiane in modo eroico. Spontanea ed immediata è emersa la fama della sua santità. Non solo in Italia, ma in molti altri Paesi lo pregano e chiedono grazie; sovente sono concesse. In diocesi di Trento è ben conosciuto. L’ufficio catechistico coordina programmi speciali nell’ambito della catechesi per farlo conoscere nel cammino della sua vita e della sua santità. Anch’io vengo chiamata per dare la mia testimonianza di sorella: durante la Quaresima del 2015 ho incontrato, in piccoli gruppi, quasi duecento bambini. I fedeli hanno atteso con ansia la liturgia solenne di beatificazione. Abbiamo sperato fosse nel Duomo di Trento, dove ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana ed ha celebrato la sua Prima Messa. L’Associazione ‘Amici di p. Mario’, con sede a Trento ma presente un po’ in tutto il mondo, collabora attivamente, secondo lo statuto, a far conoscere la figura di p. Mario e nel contempo invia degli aiuti alla chiesa del Laos: offerte per sante messe e per il seminario di Takkek dove studiano i futuri sacerdoti. I bambini della parrocchia di sant’Antonio il giorno della Prima comunione e della cresima condividono un regalo importante con i loro amici di Kiuchatian – l’ultima missione di p. Mario – tramite la fattiva mediazione di fr. Gianni Dalla Rizza, camilliano. Tutto viene sempre documentato con bellissime fotografie. In questi ultimi anni la condivisione consiste nell’offrire materiale scolastico ai bambini della scuola primaria. Nel 2015 si sono aggiunti gli studenti della scuola superiore recentemente costruita e donata dalla Conferenza episcopale italiana con l’8’‰.
Cosa si augura possa significare la beatificazione di Mario per la famiglia oblata e per la Chiesa intera?
La santità di mio fratello colpisce il lettore del Diario perché, come dico sempre, egli è “un santo senza aureola” e tutti possono impegnarsi nell’imitare la sua santità. La sua fede, il suo incondizionato abbandono alla volontà del Padre, il suo amore per la Madonna (“voglio essere nel seno di Maria come Gesù, ed essere portato dove Ella vuole”); la sua chiamata al piccolo grande martirio del quotidiano. Altre virtù che emergono dal suo scritto sono l’obbedienza, la disponibilità verso i fratelli, lo spirito di servizio e lo spirito di povertà. La sua santità, riconosciuta dalla chiesa, è un dono per la Chiesa e non meno per la congregazione degli Oblati che ha festeggiato un particolare anniversario, i 200 anni di fondazione. Mario era orgoglioso di fare parte della congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e gli Oblati credo siano orgogliosi di avere un loro confratello santo e martire.
Può raccontarci un suo ricordo personale di quando eravate bambini?
Mano nella mano. Per tre anni Mario mi è venuto a prendere all’uscita della scuola materna. Lo vedevo come un liberatore – dopo una giornata tanto lunga – e mano nella mano ritornavamo a casa. Così anche dopo, io in prima elementare Mario in quinta, si andava e ritornava insieme sempre mano nella mano. Quella mano che mi aiutava a raggiungere la vetta della montagna o mi sosteneva nel ritorno quando i piedi si incrociavano per la stanchezza. Ed è sempre stato così. Anche quando eravamo grandi e già portava la veste. Papà – divertito – ci diceva “cosa dirà la gente al vedere un prete mano nella mano con una signorina?”. Giocavamo molto insieme. Uno di questi giochi era dir messa, sotto il tavolo di cucina trasformato con tovaglie e coperte in igloo. Si celebrava devotamente su di uno sgabellino che ancora esiste in casa: lui con il suo armamentario, io inginocchiata con il velo della mamma in testa ed un libro di preghiere. Fin da allora sognava di andare nelle terre gelide della Siberia e forse… per questo scelse gli Oblati, gli specialisti delle missioni difficili del Polo Nord.
(intervista di Angelica Ciccone, Tratto da Missioni OMI 1-2/2017)