«Non ardeva forse in noi il nostro cuore?» È questa la domanda che si fanno i due discepoli di Emmaus dopo che hanno riconosciuto Gesù mentre era stato a cena con loro e aveva spezzato il pane (Lc 24,32). Quando quello stesso giorno, tristi, se ne erano tornati a casa, Gesù in persona si era fatto loro compagno di viaggio. Durante il tragitto li aveva aiutati a rileggere i fatti avvenuti e aveva spiegato come tutto acquistasse senso alla luce della Parola di Dio, anche il fallimento, l’apparente fine di tutto. Loro però in quel momento non l’avevano riconosciuto e quando finalmente capirono chi era e non lo videro più, tornarono a quei momenti, sulla strada, mentre ormai il sole spariva dall’orizzonte lasciando spazio alle ombre della notte.
Solo ora si ricordano che, mentre stavano camminando con lui e lo ascoltavano, era salita in loro una misteriosa sensazione di gioia, un calore, che li aveva presi sempre di più e aveva dato ai loro occhi una luce nuova. Per questo, quando non vedono più Gesù, tornano stupiti al ricordo di quel momento, a quel fuoco interiore che lui aveva acceso.
Chissà quante volte il tempo e gli eventi della vita ci trasportano su strade dove il sole finisce per tramontare, quando non vediamo più nulla che ci faccia commuovere o gioire, quando anche Gesù resta un personaggio conosciuto tanto tempo fa e che ora non tocca più il nostro cuore ispessito dal dolore, dall’abitudine o dal farci bastare ciò che ci illudiamo di avere.
Eppure c’è ancora un segno che rimane: un giorno il mio, il tuo cuore, hanno trasalito di gioia, quando abbiamo colto per un attimo che la nostra vita aveva preso improvvisamente una direzione, un senso, quando Lui era passato, si era fatto vicino e tutto era sembrato possibile, nuovo, e anche la fine di ogni cosa non faceva più male, perché il fuoco acceso in noi, lo sapevamo, non si sarebbe più spento. Meglio allora tornare sui nostri passi, verso quel giorno e ripartire di nuovo da lì.
p. Salvatore Franco omi