Intervista a Stefano Dominici, presidente nazionale uscente
dell’Associazione Missionaria Maria Immacolata
Stefano Dominici cammina con gli Oblati da tanti anni, dapprima nei gruppi giovanili e in seguito, da circa 20 anni, è membro dell’Associazione Missionaria Maria Immacolata (AMMI) di Roma. Negli ultimi 6 anni ha accompagnato la crescita dell’associazione attraverso il servizio di presidente nazionale.
L’AMMI ha avuto diverse fasi di crescita e cambiamento nella sua storia. Cos’è l’AMMI oggi?
Un luogo d’incontro per laici consapevoli della propria chiamata a vivere attivamente nella chiesa, in particolare in quella parte di chiesa che è la Famiglia oblata. A chi mi chiede cos’è l’AMMI, mi piacerebbe poter rispondere non con una definizione, con uno statuto o un regolamento. Mi piacerebbe far assaggiare il vino, non solo mostrare la bottiglia. Mi piacerebbe rispondere presentando ognuno dei più di 250 associati e del centinaio di altri membri che fanno parte delle 11 comunità presenti sul territorio italiano. Far vedere le nostre vite, il nostro im- pegno, i nostri limiti, la comunione nei gruppi, la partecipazione alle missioni popolari, spettacoli, mercatini, mostre missionarie ed altre iniziative organizzate non solo per sostenere le missioni, ma per testimoniare e coinvolgere anche i più lontani.
Quali sono i passi da fare ancora in Italia per migliorare come associati e come comunità?
Molto semplicemente seguire le linee guida di papa Francesco: uscire dalle nostre comunità ed andare sempre di più incontro ai poveri. La principale tentazione, a mio avviso, è quella di “stare bene tra noi”, cercare la comunità nella sua veste di rifugio o anche, nella migliore accezione, quale luogo di crescita spirituale. Ma quando tale crescita resta fine a se stessa, perde il suo significato più grande: l’evangelizzazione. Il testamento di Eugenio non può fermarsi a “tra voi la carità” se ciò non trova conseguente espressione nel- lo “zelo per le anime”. Altro aspetto da migliorare è l’integrazione tra le varie comunità, la coscienza sempre più radicata che ogni singola comunità fa parte di una realtà nazionale, dove la comunione e la collaborazione tra le varie componenti territoriali possono moltiplicare le nostre potenzialità. È un cammino sul quale bisogna insistere.
Ci sono tanti giovani-adulti che stanno facendo un discernimento per capire come collocarsi nel contesto della famiglia oblata. Essere parte di una comunità AMMI è una scelta carismatica? Cosa può frenare e cosa invece può aiutare questo tipo di scelta?
Fino a qualche anno fa persisteva una distanza generazionale tra AMMI e Movimento giovanile Costruire (MGC) che, indubbiamente, ostacolava un passaggio sereno dalla realtà giovanile a quella adulta della Famiglia oblata. Oggi, grazie al coraggio di tanti giovani che, negli ultimi anni, hanno “fatto il salto”, questo stacco si è colmato, ed i ragazzi che oggi terminano il cammino MGC trovano nell’AMMI un ambiente più vicino al loro mondo. Questo però è solo un aspetto pratico, anche se spesso determinante. Dal punto di vista più carismatico, credo che l’AMMI possa rappresentare una naturale prosecuzione di un cammino iniziato nell’MGC. Se la risposta al discernimento sulla propria chiamata (che ogni giovane deve sentirsi invitato a fare) porta ad una vita laicale, l’AMMI rappresenta un’occasione concreta e oblata per poter rispondere a tale vocazione. Il valore aggiunto che la nostra associazione offre è proprio quello della comunità, la possibilità di vivere insieme ad altri la propria missione nella chiesa. In tal senso l’AMMI non vuole e non deve certo proporsi come l’unico sbocco al termine del cammino MGC, ma si offre come una valida possibilità nei confronti dei giovani che, crescendo d’età, vogliono impegnarsi nel ruolo di laico associato. Per loro mi piace pensare ad MGC ed AMMI come due modalità di un unico percorso che risponde alla chiamata di voler vivere, per tutta la vita, il carisma di Eugenio de Mazenod. Dapprima in una modalità giovanile, studentesca; poi da adulto, lavoratore e probabilmente marito o moglie, padre e madre. Senza soluzione di continuità, senza traumi da distacco. La strada migliore per raggiungere questo obiettivo è già stata avviata in molte zone, dove MGC ed AMMI lavorano insieme per la missione, la pastorale parrocchiale, l’evangelizzazione.
In che modo si può qualificare il rapporto tra laici e Oblati nel lavoro di evangelizzazione?
Sicuramente l’AMMI rappresenta un luogo privilegiato dove poter sviluppare questo rapporto (diciamo pure comunione), tra laici e religiosi. Non è un cammino compiuto. Per realizzare appieno un efficace e vivo rapporto di co-evangelizzazione, dovrebbero esserci due condizioni. I sacerdoti OMI devono aprire la loro fiducia ai laici, non considerandoli solo collaboratori ma cooperatori, a partire dalle fasi progettuali della pastorale e della missione fino alla fase di valutazione. In secondo luogo, i laici devono uscire da certi pregressi di dipendenza (spesso, per abitudine o pigrizia mentale, i più accaniti clericalisti siamo proprio noi laici), rendersi conto che è arrivato il momento di smettere di aspettare che ci venga suggerito ciò che va fatto e prendere l’iniziativa, pensare, inventare. Rispettando i tempi e in comunione con le comunità oblate. Come esperienza personale non posso non citare il lavoro svolto da sacerdoti e laici nel consiglio nazionale dell’AMMI, un bel luogo di pensiero e lavoro. Un traguardo importante sul quale la Provincia dovrà a mio parere puntare, è il coinvolgimento dei tanti laici che, a vario titolo, sono vicini agli OMI, senza però identificarsi in un’associazione o gruppo particolare. Pensare una Famiglia oblata che ci coinvolga tutti, senza perdere le singole specificità.
La chiesa sta facendo sempre più un cammino di valorizzazione del ruolo dei laici. Che contributo possono dare i laici alla vita e alla missione della chiesa?
Dal Concilio Vaticano II in poi, il cammino che la chiesa ha fatto ci porta sempre di più a elevare il ruolo dei lai- ci in una condizione sempre più consapevole. È forse arrivato il momento di non pensare più nemmeno ai diversi contesti. Essere chiesa, sentirsi chiesa. Punto. Rispondere con medesimo entusiasmo e disponibilità alla volontà di Dio, sacerdoti e laici, ognuno nei propri ruoli, certo, ma con un’unica comune missione. Andare oltre il concetto di condivisione, di corresponsabilità, perché la responsabilità farà già parte della vita del laico, non servirà che il sacerdote la condivida. E non banalizzando le ragioni di tutto ciò nella mera compensazione opportunistica del calo numerico delle vocazioni religiose, ma per riscoprire la vita piena delle prime comunità cristiane. Solo questo potrà essere il futuro della chiesa. Solo questo ci renderà testimoni credibili di fronte al mondo futuro.
Cosa significa per te oggi ed ha significato essere un membro dell’AMMI?
Posso serenamente rispondere che i passi che ho fatto nel mio cammino cristiano, negli ultimi 20 anni, li ho compiuti nell’AMMI e, soprattutto, perché ero nell’AMMI. Essere un laico associato, ovviamente, oggi con una consapevolezza più matura rispetto all’inizio, mi ha consentito di crescere nell’amore a Cristo, alla chiesa, a Maria, al prossimo. Stefano che, con tutte le sue imperfezioni, oggi vive il suo lavoro con identità cristiana, che è sposo di Marina, che è padre di Greta e Diego, che vive la sua associazione nella comunità di Roma… è frutto del cammino di laico associato AMMI. Aver prestato questi anni di servizio nel consiglio nazionale e nella presidenza è un parziale rendere grazie per tutto quello che ho ricevuto in questo cammino.
(Intervista di Angelica Ciccone, tratta da Missioni OMI 11/2017)