Sul tema delle vocazioni, tema oggi così scottante, così importante e così urgente in tutta la Chiesa, ma, probabilmente, soprattutto in Europa, Eugenio, fin da giovane seminarista aveva le idee chiare. Ecco cosa scrive alla mamma, due anni prima di diventare prete: “Grazie a Dio non credo che mi si possa accusare di lusso e di ricercatezza nella mia persona e spero che non si sarà mai in condizioni di farmi questo rimprovero visto che sono deciso fermamente di non fare mai di più: sottana comune, cintura di lana, capelli piatti, ecco quale è e quale sarà sempre l’abito dell’abate de Mazenod… Ciò che, però, è pietoso negli uomini in generale, è mostruoso in un ministro della croce. Un prete sensuale, ai miei occhi, è un mostro deforme che dovrebbe essere mostrato col dito; ma è anche vero che bisognerebbe spesso avere più di dieci dita se li si volesse indicare in questo modo. Preghiamo quindi il Signore che accordi alla sua Chiesa non un gran numero di preti, ma un piccolo numero ben scelto. Dodici apostoli sono bastati per convertire il mondo”. (Lettera alla madre 6 gennaio 1810)

Realismo

Quando parlo di Eugenio uso spesso questa parola per indicare la sua concretezza, il suo “non nascondersi dietro un dito” con se stesso e neanche con la situazione della Chiesa in generale, della sua diocesi o della sua Congregazione.

Quanti di noi potrebbero dire, come Eugenio, che non ci basterebbero le dita delle due mani – e forse neanche aggiungendoci quelle dei piedi! – se volessimo indicare, con loro, i preti che non fanno i preti. Ovviamente evitando ogni giudizio previo, preventivo o partigiano.

E la cosa più interessante è che Eugenio, per dire questo, porta proprio il segno più chiaro, l’esempio più lapalissiano, la prova più evidente di quanto dice: la povertà: “non si sarà mai in condizioni di farmi questo rimprovero”. No comment!

Pregare

Ognuno di noi sa molto bene che la vocazione, proprio perché tale, può venire solo da Dio, che si serve di noi, miseri mezzi umani, ma è sempre e solo Dio che può darla e può dare, soprattutto, la forza di portarla avanti fino alla fine. D’altra parte Eugenio, fedele seguace di Gesù, non poteva pensarla non se come lui: “Pregate, dunque, il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (Mt. 9,237). Anche qui mi domando se veramente ci credo, se veramente lo faccio, se veramente aiuto gli altri a farlo. No comment!

Mercanzia

Quello che, però, mi ha stupito di questo passo è che Eugenio dice di non chiedere che Dio “accordi alla sua Chiesa un gran numero di preti, ma un piccolo numero ben scelto”.

Mi ricordo una preghierina che mia madre faceva sempre alla ne di ogni decina del rosario. Chissà perché mi è rimasta in testa. Poi ho sentito qualche vecchietta che la diceva ancora in parrocchia e, probabilmente, chissà quante sono ancora che la dicono. È così semplice, così banale, così evidente che quasi mai ci ho fatto caso. Questo passo di Eugenio me l’ha fatta ricordare. Diceva: “Donaci santi sacerdoti”.

È la stessa cosa che chiede Eugenio prima di tutto quando diceva ai suoi Oblati: “In nome di Dio siamo santi!” e, quando pregava e parlava per avere vocazioni, scriveva a p. Tempier: “se si trattasse di percorrere le campagne col desiderio, se volete, di guadagnare delle anime a Dio, senza mettersi seriamente d’impegno di essere uomini interiori, uomini veramente apostolici, credo che non sarebbe difficile rimpiazzarvi; ma credete che voglia tale merce?” (Lettera a p. Tempier, 13 Dicembre 1815).

D’altra parte, finisce Eugenio, a Gesù non ne sono bastati dodici?
Forse siamo troppi? O siamo troppo poco santi?

(di Piergiorgio Piras omi, Tratto da Missioni OMI 5/2011)