Carissimi Confratelli Oblati e Laici Associati,
la notizia mi è arrivata all’orecchio durante la seconda sessione dell’Assemblea provinciale di mercoledì, 23 gennaio: “È morto padre Danilo Ceccato!”. L’avevo visto e salutato per l’ultima volta lo scorso 10 dicembre, in occasione della celebrazione dei trent’anni di fondazione della Parrocchia oblata Maria Immacolata Madre di Dio a Parcelles – Dakar, penultimo giorno del mio viaggio in Senegal e Guinea-Bissau, dove avevo visitato le comunità oblate della Delegazione. Pur rilassato in volto, con gli occhi grandi e pacifici, un po’ sognanti, lo sguardo e anche la mente non tacevano la fatica che il fisico si portava dietro, dopo quasi cinquant’anni di missione in luoghi mai facili: prima in Laos per sei anni e poi per quarant’anni nel Senegal.
Mi sono detto che Dio era venuto a chiamarlo in un momento inatteso, ma nel tempo più opportuno: padre Danilo aveva compiuto la sua missione, poteva “andare e stare” in pace nel grembo dell’eternità. Non se l’è forse meritata questa vita per sempre con Dio? Come non credere che Dio, ora, lo abbia accanto a sé, che lo abbia fatto sedere al banchetto del Regno, sussurrandogli la parola del Vangelo: “Vieni servo buono e fedele”? Come non credere a questo per padre Danilo, dopo gli anni trascorsi nelle difficili condizioni di vita e nel caldo umido-tropicale di Houei Say in Laos, e quelli altrettanto ardui e lunghi a Kaffrine, Koungheul e Koumpentoum, dominati da un caldo secco e bruciante? Come non pensarlo felice in Paradiso, dopo decenni di lavoro apostolico a contatto con catecumeni e poveri, nella sfida perennemente aperta per costruire una Chiesa locale, forte della propria identità, sotto il peso di sacrifici che sicuramente ha dovuto sopportare e affrontare? Sì, sono sicuro che padre Danilo sta raccogliendo il frutto della sua missione e, con la sua potente intercessione, ora illumina la nostra, indicandoci il modo di attuarla, là dove Dio ci ha messi.
Tra qualche anno, ci ricorderemo ancora di padre Danilo e dei suoi quarantotto anni di missione all’estero? Ma, più provocatoriamente, quanti di noi Oblati che l’hanno conosciuto hanno pensato a quest’uomo schivo e laborioso, a questo Confratello impegnato con i “lontani che la Chiesa raggiunge di meno” e compromesso, senza fare clamore, nelle logiche del carisma, durante i tanti anni che ha passato in terra di missione?
La storia della Chiesa, in particolare quella della missione, è realizzata e fatta avanzare da quelli che una certa storiografia chiama i “marginali”, ossia da coloro che non fanno notizia; da coloro che, pur stando ai margini di tutto ciò che, come evento, entra nella cronaca o addirittura nei manuali di storia, realizzano il compito affidatogli giorno dopo giorno, fedeli alla loro scelta di vita, in ascolto della loro responsabilità morale. Questi, non si notano, ma si impegnano e custodiscono nell’anima i grandi ideali; non fanno parlare di sé, ma testimoniano; non si deprimono di fronte alle avversità, ma credono. Sono loro, come padre Danilo, che più di tanti altri – più del sottoscritto, sicuramente! – scrivono la storia, quella della Chiesa e della missione, del discepolato serio e dell’apostolato senza mezze misure.
Non voglio fare un torto a qualcuno, ma, in questo orizzonte, come non pensare ai Nostri che vivono la missione in Venezuela? A mons. Ramiro, che con i suoi ottantatre anni, non senza acciacchi, resiste al caldo tropicale di Catia la Mar? Come non provare stima per gli Oblati di Cacine (Guinea Bissau), dove, all’interno di una foresta attraversata solo da piste disagevoli, devono pensare a come evangelizzare? O ai Confratelli della Missione del Sahara che tengono accesa la fiamma della fede in Gesù, in una realtà dove Dio ha altri nomi e connotati?
Dell’Assemblea provinciale che abbiamo appena celebrato, anche per coloro che ne danno i giudizi più positivi, che cosa resterà se non sentiamo di vivere la nostra vita per il Signore, per la Chiesa, accettando le difficoltà inevitabili dentro e fuori di noi nella logica del sacrificio? Che cosa resterà se non siamo disposti, neppure partendo dai retti propositi, a “rinunciare a noi stessi”, come ci invita a fare il Signore della storia? Che cosa resterà in piedi, se non ci lasciamo educare dalla “speranza cristiana che è in noi”, e se non insistiamo a “dare la vita” con convinzione, per quel sì detto a Dio nell’oblazione, per i giovani, le famiglie, la gente che incontriamo, i lontani dalla fede, per i poveri dei molteplici volti?
Intanto, la Delegazione dell’Uruguay, dopo quarant’anni esatti dalla sua nascita e quasi ottanta dall’arrivo dei primi Oblati nell’agosto del 1930 (due spagnoli e un italiano: che strana la storia!), giunge ad un finale che è un compimento, diventando parte di una nuova Provincia che accoglierà anche quelle di Argentina-Cile e Paraguay. Una nuova tappa anche per i nostri Confratelli che da anni lavorano nella Chiesa uruguagia con pazienza e speranza, mai sotto i riflettori della popolarità, ma procedendo con tanta fede e umiltà nello spirito evangelico del seme che muore e che, prima o poi, porta frutto.
Inoltre, cinquant’anni fa, il 24 febbraio 1968, moriva in un incidente aereo nel Laos, Mons. Lionello Berti, primo Vicario Apostolico di Luang Prabang nel Nord del Laos. Un uomo di Dio, ricco di umanità, intelligente e virtuoso, votato totalmente alla causa del vangelo. Per un destino amaro della vita, se n’è andato da questa terra a 42 anni, dopo vent’anni esatti di sacerdozio, di cui sei come vescovo, lasciando un grande vuoto tra gli Oblati della missione laotiana e nella sua Chiesa. Eppure, Dio, questo vuoto, l’ha di certo riempito in tanti modi. Dobbiamo avere gli occhi della fede per vederli, perché ci sono, perché Dio è fedele alle sue promesse. A questo proposito, mi sembrano profetiche le parole di un testo che padre Angelo Pelis ha redatto in occasione di questo anniversario: “A cinquant’anni dalla scomparsa di Mons. Berti, non dobbiamo parlare solo di morte, ma anche brevemente tratteggiare alcuni eventi che hanno caratterizzato la sopravvivenza e lo sviluppo del Vicariato Apostolico di Luang Prabang e della Chiesa del Laos nel suo insieme. Tutto ciò è frutto del sacrificio di don Nello (così era chiamato Mons. Berti), del martirio dei Beati Mario Borzaga e Paolo Xyooj, della vita stroncata in ancor giovane età dei PP. Natalino Sartor e Antonio Zanoni. È frutto anche del doloroso evento dell’espulsione degli Oblati dal paese, anche se il seme che moriva dava subito frutto con la fondazione di tre nuove missioni affidate ai missionari espulsi: Senegal, Indonesia e Uruguay. Ma anche il Vicariato del Nord Laos non è scomparso. Oggi, sopravvive nel piccolo gregge e nel suo Pastore, Mons. Tito Banchong, che per ben 35 anni è rimasto solo, unico sacerdote. Tra anni di carcere e persecuzione, è riuscito comunque ad accompagnare la comunità cristiana dispersa. Tra il 2010 e il 2016 sono stati ordinati 4 sacerdoti, mentre tutta la Chiesa lao ha esultato per la Beatificazione di 17 Martiri – 11 dicembre 2016 – e per la fioritura di nuove vocazioni. La notizia più bella è arrivata proprio nel 1° anniversario della Beatificazione (…) Si tratta dell’autorizzazione all’apertura, a Luang Prabang, di un piccolo seminario minore. Chi potrebbe dubitare che in questi 50 anni, don Nello, Primo Vicario Apostolico del Nord Laos, ha continuato a vegliare sulla sua piccola Chiesa, accompagnandone il calvario e la crescita?”.
La storia del mondo non si arresta. Così quella della Chiesa e della missione: Dio vi è dentro e non la trascura; anzi la trascina con sé, nonostante tutto. E, nonostante noi, proprio a noi, Dio chiede di non lasciarlo solo.
Tanti Oblati si sono compromessi e con Dio hanno scritto la sua storia: quella della salvezza, del Vangelo, del Regno. E poco importa se i loro nomi e quello che hanno fatto non è rimasto scritto in qualche libro. Al di là della nostra debole memoria, essi restano per sempre, perché vivono in Dio.
Frascati, Casa provinciale, 2 febbraio 2018 Giornata della Vita Consacrata
Nella gioia di appartenerGli,
vostro fratello, padre Alberto Gnemmi, omi (Provinciale)