Nei primi secoli della storia della chiesa i martiri venivano uccisi in odium fidei, per opposizione dichiarata alla fede. Non eroi, ma singoli ai quali veniva ordinato di rinnegare la fede e immolare agli idoli. Abbiamo numerosi testimoni della fede che donarono la propria vita, in alcune circostanze in giovane età, e in numerose occasioni con le stesse modalità in cui fu ucciso il Maestro di Nazareth. Nel tempo si è affermato un martirio di gruppo, diremmo più comunitario, conseguenza di tendenze a distruggere le presenze cristiane, cattoliche, ortodosse o protestanti, in ampie aree del mondo. Papa Francesco ha parlato, in più di un’occasione, di “ecumenismo del sangue”, valorizzando il sacrificio di gruppi di cristiani martiri che in qualche maniera hanno pagato una rata per una causa più grande, e sottolineando questa sorta di evoluzione storica del martirio.
Lo sviluppo del fenomeno martirio porta proprio a considerare i martìri collettivi. Dopo la schiera di martiri dei primi tempi, singoli o piccoli gruppi, il tempo ha visto crescere un martirio diremmo comune, di popolo. Abbiamo così assistito a eliminazione di cristiani in aree di nazioni come la Nigeria, l’India, il Sudan e in tempi recenti il Sud delle Filippine e Sri Lanka, senza nemmeno chiedere loro un palese rinnegamento della fede. Minoranze scomode, “traditori della patria” come dicevano in Laos, colpevoli di essere tra le file di una religione minoritaria rispetto a quella professata dalla maggioranza della gente. E quindi scomodi. Il fenomeno del martirio comune è visibile anche tra martiri Missionari Oblati di Maria Immacolata e laici ispirati dal carisma oblato: i gruppi di martiri della Spagna dichiarati beati il 17 dicembre 2011 e quelli del Laos beatificati l’11 dicembre 2016.
Non hanno cercato la morte, i martiri, tantomeno l’affermazione di sé stessi e della propria fede. Hanno scelto di seguire Cristo, il Vangelo, fino in fondo e di tirarne le conseguenze a livello personale, politico e sociale. E sono stati colpiti per la loro limpida presenza nel mondo. Hanno amato la vita, non l’hanno disprezzata e con il loro sacrificio le hanno conferito un senso supremo, quello dell’offerta gratuita di sé. Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, diceva che “il martire cristiano non è un uomo contro bensì un uomo per, una persona che sceglie di accettare la morte in nome dell’amore più grande che quotidianamente vive. In questo senso il martire non sceglie la morte, non desidera la gloria del martirio, ma decide di vivere fino all’estremo la vita e ciò che dà senso alla vita: l’amore per gli altri”.
(Editoriale di p. Pasquale Castrilli, da Missioni OMI 8-9/2019)