Il tema dell’ottobre missionario 2020, “Tessitori di fraternità”, porta alla nostra attenzione un tema importante dell’esistenza cristiana. Si segue il Signore della storia anzitutto a livello personale, individuale, ma anche con i fratelli e le sorelle che camminano con noi sui sentieri della vita. La fraternità richiama a noi la prima comunità cristiana di Gerusalemme descritta negli Atti degli Apostoli dove tutto era in comune. Richiama anche il gruppo degli apostoli scelti dal Signore per l’annuncio della Buona Notizia che formarono con il maestro una comunità davvero singolare. Fraternità, a noi del carisma oblato, ricorda evidentemente la prima comunità dei Missionari di Provenza, a fine 1815 inizio 1816, prodromo dei Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Fraternità significa desiderio di incontro: dare all’altro un peso. Vuol dire mettere da parte noi stessi, “perdere”, per “fare spazio”. Le fraternità/comunità, nuove e antiche, nascono da un’ispirazione dello Spirito che dona energie perché questo insieme spirituale e umano si possa realizzare. Ma le fraternità sono state, sono e saranno anche ferite. Nel collegio apostolico era presente Giuda, molti andarono via dalla prima comunità oblata di Aix en Provence. Conflitti interpersonali, diversità di idee e prassi pastorali, problemi con l’esercizio dell’autorità o l’uso dei beni, minano a fondo le comunità intaccandone a volte anche l’identità. Tutti siamo stati colpiti e addolorati per l’allontanamento di Enzo Bianchi dalla fraternità monastica di Bose lo scorso mese di giugno.
La domanda sorge allora spontanea. Come fare per mantenere genuina la fraternità, le comunità, e di conseguenza gruppi e associazioni in seno alla chiesa? Non c’è una ricetta, ma alcuni elementi possono tornarci utili. Anzitutto lo sguardo di fede su noi stessi, sugli altri, sugli eventi. In secondo luogo una grande tolleranza. Questa parola per noi italiani ha un accezione piuttosto negativa. Va invece riscoperta nella sua integrità. Non è solamente la “capacità di sopportare, senza esserne danneggiati, qualcosa che di per sé potrebbe essere spiacevole o dannoso”, ma ha una dimensione positiva di accoglienza dell’altro, di benevolenza, di gratitudine, di distacco da noi stessi (a volte ci prendiamo molto sul serio!). Ha a che fare con il realismo della vita che non ci fa chiudere in un élite di perfetti. Bisogna includere anche chi divide, chi dissipa e chi può avere pensieri e gesti empi. Quando la fraternità si aggomitola su sé stessa è opportuno aprirla e per rinnovarla è utile ruotare i compiti. I litigi interni sono l’anticipo della fine.
(Editoriale di p. Pasquale Castrilli, tratto da Missioni OMI 10/2020)