Buongiorno e buon inizio di Assemblea a tutti. “Siamo nati per tempi come questi”.
È chiaro il richiamo del titolo a quanto detto da papa Pio XI ai membri del Capitolo Generale OMI del 1938 definendo gli Oblati “Gli specialisti delle missioni difficili”.
I tempi di pandemia che viviamo, certamente, rappresentano una sfida grande per la missione della chiesa oltre che per la salute e l’economia, la vita sociale di tanti uomini e donne a cui siamo inviati. E se è vero, come è vero, che nulla sarà come prima dopo il passaggio di questo coronavirus, non possiamo non chiederci cosa cambia, cosa è cambiato e cosa cambierà per la nostra missione di evangelizzatori.
In questo momento di meditazione possiamo chiederci se ci stiamo ponendo nell’atteggiamento giusto, conforme alla nostra vocazione di apostoli e testimoni dell’amore di Cristo Gesù per gli uomini e per le donne del nostro tempo.
Ho pensato allora di avvalermi per questa meditazione di una opportunità che la grazia di Dio ci accorda e che non usiamo tanto, almeno non io: la comunione dei santi, e ho pensato di chiedere aiuto alla persona che più di ogni altro è autorevole per pronunciare una affermazione simile circa la nostra vocazione e missione oblata: S. Eugenio in persona.
Gli ho detto: Tu, da Marsiglia accompagnavi paternamente con le tue lettere gli Oblati che avevi inviato a destra e a manca ad annunciare e far conoscere Gesù e il suo Vangelo nelle situazioni le più diverse, le più difficili. Perché non scrivi una delle tue lettere ai tuoi Oblati di oggi per confermarli e incoraggiarli nella missione in questo tempo di pandemia?
Ed eccovi come ho immaginato questa sua lettera proprio per noi che iniziando questa assemblea nel nome di Dio, siamo desiderosi di essere fedeli alla nostra vocazione missionaria nella chiesa e nel mondo di oggi.
Ascoltiamo cosa potrebbe scriverci oggi S. Eugenio.
Lettera di S. Eugenio alla Provincia Mediterranea
Dalla comunità OMI del Cielo, 9 febbraio 2021
“Dio sia lodato, miei cari amici e veri apostoli! (A p. Tempier, 16 nov. 1819 – Testi scelti p.239)
Carissimi Oblati della Provincia Mediterranea, sono proprio contento di potervi rivolgere una parola e di esprimervi la mia paterna e amorevole vicinanza in un tempo particolarmente difficile, con questa pandemia da coronavirus che ha messo il mondo intero in stato di pericolo, di precarietà, di crisi profonda.
Iniziate questa assemblea provinciale non solo perché una scadenza ve l’impone, ma per crescere nello spirito di famiglia che deve sempre caratterizzare la nostra cara congregazione e per aiutarvi insieme a crescere nello spirito e nello stile missionario apostolico come ce lo impone la nostra sublime vocazione.
Non ho mai smesso di seguirvi accoratamente, voi, miei dilettissimi figli, mia cara e amata famiglia oblata. Ogni giorno, quando ero ancora sulla terra, lo sapete, mi fermavo in orazione davanti alla santissima Eucaristia, e passavo in rassegna tutte le comunità, una dopo l’altra. In preghiera, mi soffermavo su quest’oblato o su quell’altro di cui mi era giunta notizia di un problema di salute o di una difficoltà in comunità o nel ministero… e vi affidavo ciascuno al Padre Celeste. Da quando il Buon Dio ha voluto chiamarmi a sé e mi ha reso partecipe della pienezza della sua vita, la mia orazione in comunione con ciascuno di voi e di voi tutti insieme non si limita più a un tempo stabilito ogni giorno, ma è costante, è eterna. Per voi che ancora contate il tempo, sono già passati ben 160 anni da allora … per me è un attimo.
Ma vengo al motivo per cui vi sto scrivendo: il tempo di pandemia che state vivendo insieme alla vostra gente dovunque nel mondo, ma non di meno in Italia e in Spagna come pure nel martoriato Venezuela, nel Senegal e in Guinea Bissau e non per ultimo il Sahara Occidentale, non è segnato semplicemente da una crisi sanitaria. C’è molto, molto di più.
Lo spiega bene papa Francesco col quale, lasciatemelo dire, sento di avere una sintonia particolarissima fin dalle sue prime battute alla gente radunata in piazza san Pietro dopo la sua elezione. Il mio, il nostro amore alla Chiesa, lo sapete, diventa anche amore e totale adesione al successore di Pietro, sempre. Ma con papa Francesco è un po’ speciale, devo riconoscerlo. Era proprio tempo che un Papa richiamasse con forza la chiesa a riconvertirsi alla sua unica ragion d’essere: la Missione. Stare con Gesù e continuare la sua opera, questa è la Missione della chiesa e questa è la nostra missione.
Meravigliose le catechesi che papa Francesco ha fatto nelle udienze del mercoledì dal 5 agosto al 30 settembre dell’anno scorso. “Aiutare Gesù a guarire il mondo” non tanto solo dalle conseguenze del coronavirus, ma da quelle patologie che lo stavano portando ad un disastro senza precedenti.
È esattamente questo che ho scritto nella prima Regola di vita, nel 1818 a Saint-Laurent-du-Verdon, e che giustamente da un po’ di tempo avete ripreso e mantenuto proprio all’inizio delle CC.RR.: “Siamo chiamati ad essere i cooperatori del Salvatore, i corredentori del genere umano” (1818). “Aiutare Gesù a guarire il mondo”.
Si, fratelli amati, sarebbe stolta miopia pensare di voler tornare alla “normalità di prima” della crisi del coronavirus dimenticando che il mondo non andava per niente bene prima della pandemia. Erano evidenti i segnali di un necessario e urgente ripensamento radicale e tuttavia continuavate per una strada che sapevate che prima o poi doveva fermarsi.
Ecco che la pandemia vi ha fermati bruscamente! E lasciatemelo dire: provvidenzialmente, prima che fosse troppo tardi. Bisogna dunque preparare una nuova partenza su parametri altri, fondati su una umanità più ragionevole. Si, fratelli amati: dobbiamo aiutare gli uomini ad essere prima di tutto ragionevoli.
I tempi che state vivendo e che vivrete nell’immediato post pandemia, sono molto simili a quelli che viveva la mia amata Francia quando ho sentito la chiamata del carisma e l’ho condivisa con i miei primi compagni. Ma ci pensate che proprio l’essere stato contagiato dal tifo e l’aver rischiato di morirci, è stato una delle cose che mi ha fatto riflettere e cambiare progetto e mi ha ispirato la fondazione della Congregazione? Nulla è senza significato per coloro che amano Dio e si lasciano condurre dal suo Spirito!
So che ritornate volentieri a quella prima lettera che scrissi al mio caro amico P. Tempier e che scriverei oggi a voi, tale e quale: “… compenetratevi della situazione degli abitanti delle nostre campagne (della nostra gente) … interrogate il vostro cuore su ciò che vorrebbe fare per rimediare a questi disastri…” (EdM a Tempier, 9 ott. 1815). Che gioia mi ha dato la sua pronta risposta dove si diceva pronto a tutto e aggiungeva: “vedo bene ciò che cercate di più nella scelta dei vostri collaboratori; volete sacerdoti che non seguano la routine e il tran tran…, che siano disposti a camminare sulle orme degli apostoli…” (Risposta di Tempier, 27 ottobre 1815).
Ecco: questo è un tempo in cui bisogna lasciar cadere schemi missionari del passato non più adatti alle nuove situazioni. Occorre aprire nuove vie; trovare nuove modalità per portare il Vangelo agli uomini e far loro conoscere Gesù. Mai come adesso i vescovi e gli altri sacerdoti ci lasciano fare cosa e come vogliamo perché nessuno sa che pesci prendere. So che le state pensando tutte per riuscire a farvi prossimi della vostra gente. Interessante, vero: inventare, coniugare la vicinanza alla gente in un tempo di distanziamento sociale.
Ed ecco una prima domanda di fondo che questo arresto deve portarvi a fare: eravate davvero vicini alla vostra gente? E come potete esserlo adesso? E come esserlo più e meglio di prima finita la pandemia? Ma la vostra gente è solo quella che incontravate prima della pandemia? E tutti quelli che già da tempo non hanno mai incontrato qualcuno che del Vangelo e della via cristiana sapessero rende conto con gioia come di una esperienza che riempie e illumina la vita?
Mai come in un periodo come questo nuove opportunità si aprono all’annuncio del Vangelo! Sappiate vederle, cercarle queste opportunità, e non lasciate nulla di intentato, ve ne prego, perché il Vangelo di Gesù sia conosciuto e amato.
Lasciate che faccia i complimenti alla congregazione per un documento che avete pubblicato ultimamente, nel 2016, con l’approvazione di un altro oblato di cui sono fiero, P. Louis Lougen, attuale superiore generale. Avete chiamato questo testo: “Compagno di Missione” e riguarda l’impegno missionario che volete fornire per aiutare il mondo a crescere nella giustizia, la pace e l’integrità della creazione. Mi piace che il linguaggio è spesso lo stesso che usa papa Francesco.
Vero è che nella vostra Provincia Mediterranea non battete molto spesso su questi argomenti, ma ciò non significa che in tutti i ministeri che svolgete con la passione che ci è caratteristica, non lavoriate per queste dimensioni così essenziali alla nostra missione di evangelizzazione. Forse potreste fare un po’ di più, che dite?
La prima delle CC. e RR. citata in questo testo è giustamente la n. 4 che richiama l’esperienza fondante della mia chiamata, della nostra chiamata: l’incontro con il Salvatore crocifisso.
“Attraverso lo sguardo del Salvatore Crocifisso vediamo il mondo riscattato dal suo sangue, nel desiderio che gli uomini, nei quali continua la sua passione, conoscano anche la potenza della sua risurrezione (C.4). È proprio da questa sorgente vitale dipende il nostro “… andare verso coloro la cui condizione richiede a gran voce la speranza e la salvezza che solo Cristo può dare pienamente. Sono i poveri dai molteplici volti: noi diamo loro la preferenza” (C.5).
Avete formulato tre anni fa il vostro attuale Progetto Apostolico Provinciale. Devo dirvi che in verità non mi dispiace. Mi dispiace si, che non torniate spesso a ispirarvene per programmare e rivalutare la vostra vita e la vostra azione missionaria. Lì avete scritto, a proposito delle vostre comunità che considerate una priorità farle diventare sempre di più “luogo di fraternità e di guarigione” considerando “le fragilità e complessità presenti nelle nostre persone…”.
Vi incoraggio a vivere questo tra di voi con parresia e tenerezza. Ma lasciatemi dire che forse la missione di questi tempi e dei tempi della ripresa dopo la pandemia deve darsi questa priorità anche nei confronti della gente, nelle comunità che servite, siano esse parrocchiali o giovanili … e nei confronti di chiunque incontrerete. È questo che papa Francesco intende quando definisce la chiesa come un ospedale da campo.
Il vostro mondo ha bisogno di guarigione e il volto di Cristo Salvatore oggi prende più che mai i connotati, per niente assenti nella vita e l’azione di Gesù di Nazareth, del Cristo guaritore del corpo e dell’anima. Possa ogni fratello e sorella che incontrate sentirsi amato così com’è, con tutte le sue fragilità e le sue patologie alcune delle quali sono proprio pandemiche, cioè presenti diffusamente tra tanti se non tra tutti.
Ecco cosa sentiva di dirvi il mio cuore di padre e di fondatore.
Buona missione da veri cooperatori del Salvatore, da veri aiutanti di Cristo nel guarire il mondo dalle sue patologie perché viva più sano e più sereno per la più grande gloria di Dio!
Sia lodato Gesù Cristo e Maria Immacolata.
Eugenio de Mazenod, santo per grazia.
Meditazione di p. Adriano Titone all’Assemblea Provinciale
9 febbraio 2021