Sant’Eugenio de Mazenod scriveva nella prefazione delle Costituzioni e Regole per i suoi missionari: “Bisogna fare di tutto per estendere il regno del Salvatore, distruggere quello di Satana, impedire migliaia di delitti, mettere in onore e far praticare ogni specie di virtù, rendere gli uomini prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi.” (Regole del 1826, Aut. Post.)
In poche parole il santo provenzale invitava i missionari della sua congregazione religiosa a guidare le persone che incontravano a seguire un percorso verso la santità che parte dal diventare prima uomini che sappiano riconoscere i propri limiti. Come p. Frank Santucci scriveva il 4 luglio 2012 (http://www.eugenedemazenod.net/ita/?p=1232): “Nel corso di 200 anni Eugenio e gli Oblati hanno interpretato questa chiamata in senso ampio, come riferita a tutti gli aspetti riguardanti il benessere umano della persona. La storia delle opere della Famiglia Mazenodiana continua a testimoniare tale attenzione nei cinque continenti.”
Si passa poi all’essere cristiani, cioè persone che sanno stare alla sequela di Cristo, che lo riconoscono nella propria vita come Salvatore e che sanno annunciare agli altri la bellezza di questa salvezza.
Infine, il percorso suggerito da Eugenio si conclude con il diventare santi, cioè di godere per l’eternità dell’amore di Dio. Il premio finale al quale noi tutti aspiriamo.
Certo, sant’Eugenio si riferiva ai suoi Oblati ma, sulla linea di ciò che p. Santucci scriveva, azzardo a dire che in 200 anni la Famiglia Mazenodiana è cambiata e, accanto ai consacrati, si sono associati tanti laici che trovano ispirazione nel carisma degli Oblati di Maria Immacolata cercando di condividerlo nel quotidiano, di portarlo nel mondo perché vivono in esso (Gv 15,18-21). Chi scrive è uno di questi laici associati che si sforza di essere testimone del Vangelo per percorrere questa strada dell’essere uomo-cristiano-santo. Nonostante il buon esempio di sant’Eugenio, credo che in Paradiso ci sia qualcun altro che può aiutarci in questo cammino: mi riferisco a san Giuseppe.
Chi vuole crescere nella propria umanità deve assolutamente fare riferimento a san Giuseppe. Chi meglio di lui ha saputo abbracciare, con il giusto discernimento ovviamente, le difficoltà che l’uomo incontra quotidianamente? Lui era un lavoratore indefesso, che si muoveva spesso per lavorare. Era responsabile di ciò che faceva e, lo penso fortemente, non ha fatto mai mancare nulla a Maria e Gesù. Ha dovuto fare i conti con il suo corpo amando Maria di un amore puro (ai nostri occhi, forse, incomprensibile) che riuscisse ad andare oltre alla carnalità (senza mai condannarla). Giuseppe era uomo perché riuscì ad incarnare tutti i pregi dell’umanità, i quali, poi, gli hanno permesso di fare i conti con i suoi difetti e le sue imperfezioni.
Anche per essere cristiani possiamo avere nella mente e nel cuore la figura giuseppina. Cristiano è colui che riesce a stare alla sequela di Cristo, che riesce a cercarlo nelle cose della vita. Anche in questo caso Giuseppe ci viene in aiuto. Proprio lui che ha cercato Gesù quando lo ha smarrito (Lc 2,41-52) può essere di monito per noi che perdiamo troppo spesso Cristo nella nostra vita. Giuseppe ci insegna che vale sempre la pena cercarLo, anche quando sembra che non abbia senso quello che viviamo. Non solo. Il santo betlemita ci indica anche qual è la strada maestra per essere buoni cristiani: l’obbedienza al Padre. Lui che è l’obbediente per definizione, ci suggerisce di abbandonarci alla volontà di Dio quando questa sembra troppo dura con noi. Proprio come lui ha fatto non ripudiando Maria dopo il miracoloso concepimento di Gesù e come ha fatto lasciando la terra di Israele per poi farvi ritorno.
Ultimo passaggio: la santità, cioè il raggiungimento della perfezione nel nostro cammino. San Giuseppe può prenderci per mano e portarci alla meta del nostro cammino. Lui che ha saputo farsi santo applicando la giustizia che non appartiene al mondo; che ha saputo testimoniare con la vita l’amore per il Figlio. Lui è santo perché Dio lo ha voluto con se e lo ha premiato con l’arduo compito di essere patrono della Chiesa del suo Figlio, diventandone, a sua volta, padre. Un padre che non fa mancare nulla ai suoi figli perché, come recita Santa Teresa d’Avila: “Qualunque grazia si domanda a san Giuseppe verrà certamente concessa. Chi non crede, ne faccia la prova, affinché si persuada.”
Questo percorso dovrebbe rincuorarci perché è la prova che noi siamo in cammino e che nessuno può definirsi migliore degli altri. Un sentiero come questo è pieno di insidie e non è raro il tornare indietro, cadere e farsi male. Tuttavia, sappiamo che ci sono dei fratelli maggiori che ci hanno preceduto nel cammino per la santità. San Giuseppe è uno di questi, forse uno dei primi a percorrere degnamente le tre tappe e con lui possiamo sperare di finire il nostro percorso pienamente uomini per poter essere buoni cristiani e divenire, infine, santi nell’amore.
Giovanni Varuni, laico dell’AMMI di Roma