Carissimi Confratelli Oblati, Consacrate e Laici della Famiglia Oblata,
sono diverse le realtà che sento muovere nel cuore quando penso al periodo che stiamo vivendo e alla missione che il Signore ci ha affidato, quella di annunciare il Vangelo ai poveri.
Da un lato l’essere rimasti bloccati per tanto tempo e aver ridotto al minimo le molteplici attività apostoliche fa emergere con forza il desiderio e la necessità di inventarsi qualcosa di nuovo per raggiungere la gente, dall’altra è costante e profondo il richiamo a non tralasciare ciò che viene prima e che non bisogna mai dare per scontato: l’attenzione a noi come soggetti coinvolti nella missione.
Mi colpì quando lo lessi e ancora oggi mi interpella, un testo di s. Giovanni Paolo II: «Ripensiamo, cari fratelli e sorelle, allo slancio missionario delle prime comunità cristiane. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto e comunicazione di allora, l’annunzio evangelico raggiunse in breve tempo i confini del mondo… Alla base di un tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle prime comunità» (RM 90).
La tentazione di pensare che tutto dipende da quanto siamo capaci di attrezzare cose che attirino gli altri è sempre dietro l’angolo, mentre, in realtà, la chiave è altrove.
Mi domando: quando gli altri ci vedono, cosa pensano della vita cristiana e perché dovrebbero scegliere Cristo guardando noi? Credo che non attiriamo tanto gli altri per le cose che facciamo per attirarli, quanto piuttosto se vedono in noi persone contente perché discepoli di Gesù, persone che gustano la vita perché radicata nel Vangelo, gente attiva che non si risparmia e, allo stesso tempo, conserva la serenità e la fiducia di chi è convinto di essere semplice cooperatore di un Altro, l’unico veramente capace di toccare ogni cuore.
Questo che vale per i singoli, a maggior ragione vale per la comunità. Lascio all’iniziativa di chi sta leggendo andare ad approfondire il testo di At 4, 32-35 per capire come mai s. Luca (autore del libro degli Atti) spezzi il racconto in cui descrive la vita della comunità primitiva (vv. 32.34-35) per presentare con che forza gli apostoli davano testimonianza della resurrezione del Signore (v 33). Da parte mia mi sono chiesto se non sia per dire che l’annuncio del Vangelo è supportato e, allo stesso tempo, genera la comunione dei cuori di chi ne è raggiunto.
Credo che come famiglia Oblata, all’interno delle varie espressioni che la compongono e tutti insieme, dovremmo domandarci quanto credito diamo alla forza che la testimonianza collettiva è capace di esprimere nell’annuncio del Vangelo del Risorto. Una comunità viva è in se stessa la trasparente testimonianza del Risorto all’opera. Tutte le difficoltà che possiamo elencare e che ci darebbero mille motivi per una nostra presa di distanza dagli altri non sono sufficienti per giustificare questa scelta.
È il Risorto vivo e presente nelle comunità e nella Chiesa intera ad essere il vero missionario che continua a dire la sua Parola. Ci è consegnata la responsabilità di lasciarlo vivere in mezzo a noi, se veramente crediamo che non siamo noi gli artefici della missione ma Lui. Saper vivere insieme è una continua sfida, ma è la risposta significativa che possiamo dare al mondo di oggi nella situazione in cui si trova.
Mi sembra, allora, che la priorità a cui dovremmo dedicarci per essere evangelizzatori nel contesto attuale del mondo in cui ci troviamo, sia quella di individuare una pedagogia, evangelicamente ispirata, e tutte quelle risorse che, al di là dei nostri limiti e fragilità, ci aiutino a saper vivere insieme. Sarà una manifestazione dell’opera del Risorto; e sarà Lui che darà alla sua rigenerata comunità di continuare con forza a rendere testimonianza della sua resurrezione.
Ricordiamoci di pregare sempre gli uni per gli altri.
In Gesù e Maria Immacolata
Frascati, Casa provinciale, 7 maggio 2021
p. Gennaro Rosato, omi
Superiore Provinciale