Per gli Associati – come per gli Oblati – le responsabilità nell’opera di evangelizzazione sono complementari. Ecco l’articolo 7: 

«Gli Oblati, Sacerdoti e Fratelli, hanno responsabilità complementari nell’opera di evangelizzazione. Fanno di tutto per suscitare o risvegliare la fede in coloro a cui sono inviati e far loro scoprire “chi è Cristo”.

Sono sempre pronti a rispondere ai bisogni più urgenti della Chiesa con diverse forme di testimonianza e di ministero, ma soprattutto con la proclamazione della Parola di Dio, che trova la sua pienezza nella celebrazione dei Sacramenti e nel servizio del prossimo. Hanno a cuore di costituire comunità cristiane e Chiese radicate nella cultura locale e pienamente responsabili della loro crescita». 

Dobbiamo precisare cosa sia “l’opera di evangelizzazione”. Molte formule la descrivono: ognuna aggiunge un aspetto nuovo, particolare, che invita alla riflessione. Alcuni aspetti sono tradizionali, ancorati nella storia; altri sono più recenti, essi esprimono la sensibilità missionaria attuale. La prima formula impiegata è classica nel vocabolario oblato: “fare di tutto per risvegliare la fede di coloro a cui sono inviati e di far loro scoprire ‘chi è Cristo’.”

Fare di tutto”, è un appello all’audacia, alla creatività, alla dedizione illimitata. Tutto osare, ma perché? A quale scopo?  “Per suscitare o risvegliare la fede”, per fare scoprire “chi è Cristo”. Siamo qui al centro dell’opera evangelizzatrice. Non è né l’Oblato né l’Associato che danno la fede, è Dio che la dà, ma l’Oblato e l’Associato preparano il cuore dell’uomo, tolgono gli ostacoli, proclamano il messaggio e pregano Dio di far nascere la fede, renderla più viva, più dinamica nella gente. 

In questa linea, l’Associato è missionario. Egli vuole far conoscere e amare Cristo da coloro che gli sono vicini: dalla sua famiglia con i suoi figli, dal suo ambiente di lavoro, dal mondo. La sua preghiera sarà missionaria, la sua comprensione e la sua bontà lo saranno, ed anche, secondo le circostanze, lo potrà essere la sua parola. “La parola resta sempre attuale”, diceva Paolo VI, soprattutto perché è portatrice della “potenza di Dio” (cfr. 1 Cor 2,1-5). E per questo resta anche di attualità, l’assioma di S. Paolo, “La fede dipende dalla predicazione” (Rm 10,17): è la Parola ascoltata che conduce a credere” (Evangelii Nuntiandi, n. 42).

E questa parola l’Associato la pronuncia nell’amore dell’altro, nel rispetto della sua coscienza e della sua libertà, nella fiducia della fede. Eugenio de Mazenod lo ricorda ai suoi diocesani, in una Lettera pastorale: “La vostra condotta pienamente cristiana non sarà mai senza effetto nei suoi rapporti col prossimo…, essa sarà come una predicazione muta ma eloquente, essa sarà come una luce che brilla nelle tenebre”. Ed egli aggiunge che il laico cristiano deve anche parlare: “Se vi sono circostanze dove il silenzio è obbligatorio, ve ne sono altre dove quello che è detto nelle tenebre deve essere ripetuto nella luce… Affrettatevi di profittare di queste circostanze dove la verità può essere utile, per dirla con carità. Insinuatela con dolcezza, se non potrà essere proclamata con forza; fate che essa sia ben accolta facendo sempre scorgere il puro sentimento di pio interesse che vi ispira. Presentatela, se potete, sotto una forma delicata che le impedisca di ferire coloro che voi volete guarire, evitate di renderla fastidiosa con ripetizioni troppo frequenti, o importuna con desideri troppo impazienti; ma in questa opera di misericordia, se dovete avere dei riguardi verso il vostro fratello, siate senza timore del mondo.” (cfr. Lettera per la Quaresima del 1848). 

La seconda formula impiegata per descrivere il nostro lavoro di evangelizzazione è anch’essa classica tra noi: “Sono sempre pronti a rispondere ai bisogni più urgenti della Chiesa con diverse forme di testimonianza e di ministero, ma soprattutto con la proclamazione della Parola di Dio, che trova la sua pienezza nella celebrazione dei Sacramenti e nel servizio del prossimo”. Una doppia preoccupazione ecclesiale, caratteristica del nostro tempo è presente: costituire “comunità cristiane e Chiese radicate nella cultura locale e pienamente responsabili della loro crescita”. Vi è lì un invito a favorire l’inculturazione della fede dappertutto dove lavoriamo, specialmente nei paesi di nuova cristianità, e a promuovere il senso di responsabilità, il desiderio di un impegno personale e di una fede adulta tra i fedeli con cui lavoriamo. Noi vogliamo creare delle comunità locali vive. 

 Nelle regole che completano l’articolo 7, ve n’é una, la terza, che ci aiuta a recepire la complementarietà all’interno della Congregazione ed è quella che può realizzarsi con gli Associati. Nella Congregazione vi sono dei Sacerdoti e dei Fratelli. Tutti partecipano, ciascuno a suo modo, all’unico sacerdozio di Cristo. Tutti sono religiosi e testimoniano di una vita ispirata al Vangelo e tutti, ciascuno col proprio lavoro, partecipano all’azione missionaria della Chiesa. L’Associato, sia uomo che donna, partecipa anche lui, a suo modo, all’unico sacerdozio di Cristo. Come cristiano, la sua vita è ispirata al Vangelo; nel suo ambiente, a suo modo, esercita un irradiamento personale e missionario proprio. Associato alla Congregazione, il suo servizio tecnico, professionale e pastorale, insieme alla testimonianza evangelica della sua vita, costituiscono il suo “ministero” particolare.

(da Carisma oblato e associati laici, di p. Fernand Jetté OMI)


Para los asociados -como para los oblatos- las responsabilidades en la obra de evangelización son complementarias. He aquí el artículo 7.

Los oblatos, sacerdotes y Hermanos, tienen responsabilidades complementarias en la obra de la evangelización. Lo intentan todo para suscitar o despertar la fe de aquellos a quienes son enviados, haciéndoles descubrir “quién es Cristo”. Están siempre dispuestos a responder a las necesidades más urgentes de la Iglesia mediante varias formas de testimonios y ministerios, pero sobre todo por la proclamación de la Palabra de Dios, que encuentra su culminación en la celebración de los sacramentos y en el servicio al prójimo. Ponen su empeño en fundar comunidades cristianas e Iglesias enraizadas en la cultura local y plenamente responsables del propio crecimiento.

Tenemos que precisar lo que es “la obra de la evangelización”. Varias fórmulas la describen; cada una aporta un aspecto nuevo, particular, que invita a la reflexión. Algunos aspectos son tradicionales, anclados en la historia; otros son más recientes, expresan la sensibilidad misionera actual. La primera fórmula empleada es clásica en el vocabulario oblato: “intentarlo todo para suscitar o despertar la fe de aquellos a quienes son enviados y hacerles descubrir ‘quién es Cristo’”.

“Intentarlo todo”, es una llamada a la audacia, a la creatividad, a la entrega sin límite. Intentarlo todo, pero ¿por qué? ¿con qué fin? “Para suscitar o despertar la fe”…., para hacer descubrir “quién es Cristo”. Estamos aquí en el centro de la obra evangelizadora. No es ni el oblato ni el asociado los que dan la fe, es Dios quien la da, pero el oblato y el asociado preparan el corazón del hombre, quitan los obstáculos, proclaman el mensaje y piden a Dios hacer nacer la fe, hacerla más viva, más dinámica en la gente.

En esta línea, el asociado es misionero. Quiere dar a conocer y hacer amar a Cristo a su alrededor: en su familia, con sus hijos, en su ambiente de trabajo, en el mundo. Su oración será misionera, su comprensión y su bondad lo serán, e incluso, según las circunstancias, su palabra podrá serlo. “La palabra permanece siempre actual, decía Pablo VI, sobre todo cuando va acompañada del poder de Dios (cf. Cor 2,1-5). Por esto conserva también su actualidad, el axioma de san Pablo: “La fe viene de la audición” (Rm 10,17), es decir, es la Palabra oída la que invita a creer” (Evangelii Nuntiandi, nº42).

Y esta palabra, el asociado la dice en el amor al otro, en el respeto a su conciencia y a su libertad, en la confianza de la fe. Eugenio de Mazenod lo recuerda a sus diocesanos en una Carta pastoral: “Su conducta manifiestamente cristiana no será nunca sin efecto en sus relaciones con el prójimo…, será como una predicación muda, pero elocuente…., será como una luz que brilla en medio de las tinieblas…” Y añade que el laico cristiano debe también hablar. “Si hay circunstancias en que el silencio es obligado, hay otras en que lo que se dice en las tinieblas debe repetirse en la luz… Apresúrense a aprovechar estas circunstancias en que la verdad puede ser útil, para decirla con caridad. Insinúenla con dulzura, cuando no puede ser proclamada con fuerza; hagan que sea bien acogida dejando siempre entrever el puro sentimiento de generoso interés que los inspira. Preséntenla, si pueden, bajo una forma delicada que la impida herir a los que quieren sanar, eviten hacerla pesada por repeticiones demasiado frecuentes, o importuna por deseos demasiado impacientes; pero en esta obra de misericordia, si deben atenciones a su hermano, estén sin temor al mundo” (Pastoral para la cuaresma de 1848)

La segunda fórmula empleada para describir nuestro trabajo de evangelización es clásica también, entre nosotros: “Están siempre dispuestos a responder a las necesidades más urgentes de la Iglesia mediante varias formas de testimonios y ministerios, pero sobre todo por la proclamación de la Palabra de Dios, que encuentra su culminación en la celebración de los sacramentos y en el servicio al prójimo.”

Una doble preocupación eclesial, característica de nuestro tiempo, está presente: constituir “comunidades cristianas e Iglesias enraizadas en la cultura local y plenamente responsables del propio crecimiento”. Hay ahí una invitación a favorecer la inculturación de la fe en cualquier parte donde realizamos nuestro trabajo, especialmente en países de nueva cristiandad, y a promover el sentido de las responsabilidades, el deseo de un compromiso personal y de una fe adulta entre los fieles con quienes trabajamos. Queremos establecer comunidades locales vivas.

En las reglas que completan el artículo 7, hay una, la 3 [7c], que nos ayuda a comprender la complementariedad dentro de la Congregación y lo que puede ser con los asociados. En la Congregación, hay sacerdotes y hermanos. Todos participan, cada uno a su manera, del único sacerdocio de Cristo. Todos son religiosos, y dan testimonio de una vida inspirada en el Evangelio y todos, cada uno según su trabajo propio, participan en la acción misionera de la Iglesia.

El asociado, sea hombre o mujer, participa también, a su manera, del único sacerdocio de Cristo; como cristiano, su vida está inspirada en el Evangelio; en su medio, a su manera, ejerce una irradiación personal y misionera propia. Asociado a la Congregación, su servicio técnico, profesional y pastoral, así como el testimonio evangélico de su vida, constituyen su “ministerio” particular.

(de Carisma oblato y asociados laicos, del P. Fernand Jetté OMI)