Circa dieci anni fa, mio marito, mia sorella e io abbiamo percorso trecentosettanta chilometri del Cammino di Santiago. Portando lo zaino, dormendo ogni notte in città o villaggi diversi; per tre settimane siamo stati dei veri “peregrinos”, dei pellegrini. Eravamo in “cammino” verso la grande Cattedrale di San Giacomo, nella bellissima città di Santiago di Campostela. Essendo estranei al Paese, la nostra preoccupazione era che a un certo punto avremmo potuto perderci. Fortunatamente, l’antico sentiero che attraversa la Spagna è in genere ben segnalato: la tipica conchiglia del pellegrino, di frequente ben in vista su piccoli pilastri, lungo i marciapiedi e sui muri delle case ci indicava il percorso e ci rassicurava sul fatto che si stava ancora percorrendo la strada giusta.
Non tutti gli itinerari però erano segnati in modo chiaro. A volte, a nostra insaputa, ci allontanavamo dal sentiero o sbagliavamo strada. Altre volte eravamo distratti o non concentrati e ci sfuggivano i segnali che ci indicavano di svoltare o di prendere una direzione diversa. In questi casi, finivamo per perderci o per camminare a vuoto. Ecco perché, ogni tanto, era bene fermarsi, guardarsi intorno e, come fa ogni buon sistema GPS, ri-orientarsi. Riorientarsi significa fare nuove letture, osservare i segnali che ci circondano e chiedersi quali sono le correzioni da fare.
Stranamente, questo è anche lo scopo di un Capitolo generale!
Ogni sei anni, gli Oblati si riuniscono e si ri-orientano. Con la preghiera e nel discernimento, guardano dove sono, leggono i segni dei tempi e si chiedono che cosa devono fare per rimanere sulla strada giusta dell’annuncio zelante e appassionato del Vangelo.
Le risposte a queste domande li guideranno per i successivi sei anni.
Quest’anno, nell’ambito della preparazione del 37° Capitolo generale, la Commissione precapitolare ha avviato una consultazione a livello di congregazione. Si è cercato di identificare i “segni dei tempi” che richiamano la loro attenzione. Il tema “Pellegrini di speranza in comunione” riflette il discernimento che ne è seguito. I concetti di “pellegrino”, di “speranza” e di “comunione” sono i riferimenti scelti per guidare le decisioni del Capitolo nel definire la direzione per il prossimo futuro. Come membri della grande famiglia degli Oblati, cosa ci dicono queste indicazioni? Come possono orientare la nostra direzione mentre cerchiamo di vivere il carisma oblato nel nostro ambiente di famiglia, di lavoro, di volontariato e cultura?
1. Ricordiamo che siamo PELLEGRINI
In altre parole, siamo in movimento! Papa Francesco ci ricorda che siamo una Chiesa “in cammino”. Siamo pellegrini: la storia, sottolinea Francesco, ci insegna che stare fermi non può essere una buona condizione per la Chiesa (cfr. Evangelii gaudium, 23). E non è nemmeno una buona condizione per noi. Invece – dice papa Francesco – dovremmo essere caratterizzati da un’inquietudine interiore. Penso che si tratti di un’inquietudine che ci spinge oltre la nostra situazione di comfort, un’insoddisfazione per lo status quo. Vedendo l’ingiustizia, il degrado ambientale, la violenza e l’odio, questa inquietudine ci fa dire: “Non dovrebbe essere così!”; essa ci spinge quindi a lavorare per il cambiamento. È lo Spirito che dice: “Esci dalla tua routine, cerca modi nuovi e creativi per essere Chiesa, per proclamare il Vangelo, per essere testimoni della vita”.
È Eugenio che dice: “Dove ci sono nuovi bisogni, dobbiamo trovare nuovi mezzi”.
2. Dobbiamo essere un certo tipo di pellegrini: siamo pellegrini di SPERANZA!
Perché di speranza? mi chiedo. Perché non pellegrini di misericordia o di amore? Quali sono i segni dei tempi che hanno portato la Commissione precapitolare a scegliere la speranza come virtù da incarnare nel nostro cammino? Forse è questo: viviamo in un tempo in cui tante persone lottano per trovare la speranza nella loro vita di ogni giorno. Le ragioni sono tante: le perdite personali e le tragedie dovute alla pandemia globale, le guerre in corso, la povertà implacabile, la continua distruzione del nostro ambiente, e così via. Forse, guardando i segni intorno a sé, gli Oblati hanno percepito il bisogno di qualcuno che fosse testimone di speranza in un mondo turbolento, caotico e sempre più disperato. Per essere testimoni di speranza, tuttavia, dobbiamo fondarci su qualcosa che va oltre noi stessi. La speranza, come ha scritto Vaclev Havel, non può essere semplicemente un ottimismo per cui tutto andrà bene. È piuttosto, dice, una dimensione dell’anima, fondata sulla convinzione che, nonostante tutto, Dio vincerà; anzi, Dio ha già vinto. Nel 2004, nel documento del 34° Capitolo generale, “Testimoni della speranza”, gli Oblati hanno rivendicato la speranza come la loro forza speciale, “la nostra gioiosa sensazione che al cuore di tutte [queste] difficoltà, Dio, che è il Signore di questo mondo, è ancora molto vivo e vale la pena dare la vita per lui” [Testimoni della speranza p. 10]. È questa convinzione condivisa che ci costituisce come pellegrini di speranza.
3. Siamo pellegrini della speranza in COMUNIONE
Infine, siamo destinati a farlo insieme. Questo è lo spirito sinodale a cui Papa Francesco ci chiama: camminiamo insieme uno accanto all’altro, sapendo che lo Spirito è presente in ognuno di noi. Credo che uno dei doni principali del recente Congresso delle Associazioni oblate dei laici sia stato quello di risvegliarci a una comprensione più ampia della famiglia oblata. Guardando i video di ogni regione che evidenziavano i vari modi in cui i laici oblati vivono il carisma di Sant’Eugenio, non si poteva non commuoverci fortemente. Dio è all’opera tra noi; il carisma oblato è ancora molto vivo! Davvero, insieme siamo più forti e siamo destinati a camminare insieme.
Conclusione
“Pellegrino, non c’è nessun sentiero! Il cammino si fa camminando”. Il cammino che percorriamo come Chiesa, come Oblati e come Famiglia Oblata non è ben delineato davanti a noi. Abbiamo invece delle indicazioni lungo il cammino. I cartelli che indicano il nostro essere pellegrini di speranza in comunione, ci condurranno nella giusta direzione.
Il logo scelto per il Capitolo riflette questa dimensione. Mostra un gruppo di persone che camminano insieme, sono “in cammino”. Tra loro ci sono alcuni Oblati, alcuni bambini, uomini e donne. Sembrano un popolo di pellegrini. C’è uno Spirito simile a una colomba che aleggia su di loro. Sono circondati da rami verdi e in crescita – la promessa e la speranza di una vita fruttuosa durante il cammino.
Assomigliano alla Chiesa. Assomigliano a noi.
Sandra Prather
Tre domande per una riflessione
1. “Se un cristiano non sente questa inquietudine interiore, se non la vive, manca qualcosa; e questa inquietudine interiore viene dalla sua stessa fede e ci invita a valutare cosa è meglio fare, cosa va mantenuto o cambiato.” [Papa Francesco parlando sulla Chiesa sinodale).
Dove senti questa “inquietudine interiore” che ti spinge a lavorare per il cambiamento?
2. “Questo intendo richiamare al mio cuore e per questo voglio riprendere speranza: le grazie del Signore non sono finite” (Lam. 3,21).
In che modo siete portatori di speranza? Cosa o chi fonda la vostra speranza?
3. “Spero in te per noi”. (Gabriel Marcel, esistenzialista cristiano).
In che modo l’“essere in comunione” rafforza la tua speranza?