Meditazione su Atti 2, 42, 47
Buongiorno a tutti, condivido con voi la gioia di poter vivere questo momento insieme almeno in questa modalità online, ma vi assicuro che provo ad essere molto vicino a questi passi che state facendo, che stiamo facendo insieme, e desidero poter camminare insieme a voi nei prossimi tempi.
La prima cosa che mi veniva mentre pensavo a questo incontro, a questa meditazione, è di rendere grazie al Signore perché avete ascoltato una chiamata dello Spirito Santo che ha fatto a tutta la famiglia carismatica. C’è l’inquietudine di pensarci insieme, per comprendere come vivere il presente come famiglia carismatica, ma soprattutto pensare al futuro.
Pensare come sarà il futuro
Quando pensiamo al futuro a volte ci fa paura e possono venire tante domande, tante domande: ma come sarà il futuro, chi sarà, quali strutture? Come fare? Possiamo avere, insieme a tutte le domande, anche tante paure, anche tanti sogni. Abbiamo letto la lettera del Superiore generale in cui parlava del suo sogno di queste tavole rotonde dove sono presenti tutte le realtà carismatiche per vivere insieme, per condividere la missione, per pensare insieme.
Io dovrei parlare del futuro e mi piacerebbe essere un profeta.
Mi piacerebbe dirvi come sarà il futuro, mi piacerebbe dire quali strutture, come. Però l’unica cosa che posso fare è ricordare quali sono le uniche certezze che abbiamo in questo cammino verso il futuro, con chi dobbiamo vivere – con il Signore – e come dobbiamo viverlo – insieme. Insieme, anzi direi molto di più, in comunione. Perché per stare insieme possiamo stare insieme in una sala… ma essere in comunione è molto di più che stare insieme.
Un invito, o almeno una chiamata che sento di dover ricordare in questo processo che state vivendo verso il futuro, è provare a essere un po’ semplici. Non processi eterni, senza fine e molto complessi. Noi cristiani siamo esperti nel rendere complicate le cose semplici. E quindi la semplicità può essere il processo, può essere una caratteristica che ci può accompagnare nel guardare al futuro. E ho provato ad essere semplice perché per parlare del futuro vi invito a guardare il passato. Perché non dobbiamo inventare niente, è già tutto inventato. Dobbiamo semplicemente, forse, vivere come dobbiamo vivere, perché a volte lo dimentichiamo. E le prime Comunità cristiane ci ricordano quali sono le cose essenziali che non possono mancare: non può mancare la presenza del Signore in mezzo a noi, non può mancare questa dinamica comunitaria e non possono mancare alcuni elementi che ci ricordano queste prime comunità.
Un’altra cosa importante in questo cammino verso il futuro, dove riflettiamo su tante cose, è che ciò che viene prima non è la riflessione ma è la vita. E quindi la prima cosa che dobbiamo rafforzare tra di noi è la vita, vivendo insieme veramente, come ci ricordano anche le prime comunità. Sicuramente nascerà poco a poco, piano piano, questa struttura che stiamo anche cercando.
Le prime comunità cristiane
Ho scelto questo brano degli Atti degli Apostoli perché è un brano che in Spagna ci ha accompagnato molto, per noi era l’icona di come doveva essere la vita in comunità tra di noi giovani, ma anche la vita di comunità tra gli adulti. Sappiamo che queste prime comunità non erano ideali. Cioè non possiamo mitizzare, ma nemmeno minimizzare queste comunità. Perché subito hanno iniziato a venire fuori dei problemi, perché ci saranno sempre dei problemi, sempre. Non esiste una realtà, una struttura, dove non ci siano problemi. Però ci ricorda quali sono le basi che non possono mancare per sopravvivere o per superare queste difficoltà.
La vita interiore
Questo non è solo un processo di riflessione ma è un processo di vita solo se ognuno di noi coltiva la sua vita col Signore, come dice il brano, attraverso la preghiera, l’Eucaristia, il rapporto con la Parola. In questo modo possiamo riuscire a costruire qualcosa insieme, perché non è una comunione di testa che dobbiamo fare, ma una comunione di vita e di vita col Signore. Quindi il migliore modo di capire se stiamo facendo bene questo processo è pensare: “come sto vivendo io il mio rapporto col Signore?”. Questo mi sembra importante, questo è la base, il fondamento, la motivazione principale per provare a stare insieme: stare con il Signore. E quindi ognuno di noi deve prendersi cura della sua vita interiore.
La vita comunitaria
Una realtà che ci ricorda questo brano che ho voluto leggere con voi, è la vita comunitaria, è la dinamica comunitaria. Guardando a voi, voi siete una comunità di tante comunità.
E quindi diciamo che sicuramente già tra di voi ci saranno le stesse difficoltà che esistevano nella prima comunità. La prima comunità ha dovuto superare l’individualismo, le tensioni, le incomprensioni, le etichette. Questo lo possiamo pensare anche tra di noi, non tanto singolarmente ma anche come realtà. È una famiglia che comprende tanti gruppi diversi. E dobbiamo smettere di pensare che solo il nostro gruppo, solo il mio gruppo, è quello che esaudisce il carisma. No, no. Ognuno di noi sottolinea un aspetto diverso, ma dobbiamo stare con l’altro per comprenderci di più come carisma. Abbiamo capito in modo molto forte, molto chiaramente anche dopo la Pentecoste, che la diversità non è un problema. E noi invece ci impegniamo a essere tutti uguali. La diversità non è un problema, dobbiamo superare l’individualismo anche tra di noi e creare una comunità di comunità.
I due polmoni necessari
Poi un’altra realtà che mi riporta questo brano, è che esistono due polmoni, uno verso l’interno, che si prende cura della vita interna della comunità, dei rapporti fra di noi, dell’amore tra di noi, ma anche un polmone verso fuori. Cioè verso quelli che non ci stanno. Come fare ad attirare quelli che non ci stanno, quelli che non conoscono Dio, quelli che sono i bisognosi? Affinché una realtà come questa che stiamo condividendo oggi sia viva, questi due polmoni devono respirare. Tante volte spendiamo molte energie verso l’interno, e pensiamo – ed è vero – che se l’interno non funziona è difficile andare fuori. Però devono esserci entrambe queste due realtà, non possiamo soffermarci solo sul polmone che sta bene respirando dentro. Quindi possiamo domandarci: la nostra realtà quanta energia spende? Se spendiamo più energie all’esterno, verso l’interno o magari in entrambe le realtà.
Il posto pensato da Dio
Un’altra cosa che riguarda la vita delle prime Comunità è che ognuno dei suoi membri non è lì per sé stesso. È vero che siamo in una realtà, una comunità, in un gruppo, ma a volte diciamo “sto in questo gruppo perché mi trovo bene”. Ti trovi bene? Ma tu non stai lì solo per trovarti bene, stai lì per costruire il Regno! Quindi non possiamo dimenticare che il nostro essere fa parte di una famiglia carismatica. Non è solo perché mi identifico col carisma, no! È che quello è il posto che il Signore ha pensato per te, per ognuno di voi, per me, per poter servire meglio l’altro, per poter costruire meglio il Regno.
La condivisione
Un altro aspetto di queste prime Comunità è la dimensione del condividere tutto. È vero che a volte la dimensione materiale ci viene forse più facile, ma quando dobbiamo condividere noi stessi e darci completamente per l’altro, a volte abbiamo delle difficoltà. Quindi mi posso anche domandare, come mi posiziono io dentro la mia realtà? Anche in questo processo con gli altri gruppi, mi difendo, attacco, accolgo? Dobbiamo metterci in gioco completamente e donarci nella concretezza, in questo processo di pensare nel futuro.
Lo straordinario in ordinario
E questa è la grandezza della prima comunità che trasforma l’esperienza straordinaria di Dio nell’ordinario, nel quotidiano.
È facile vivere una fede straordinaria, dei momenti straordinari, ma è più difficile rendere quotidiano e ordinario questo straordinario. Quindi questo incontro che state vivendo è un momento straordinario, ma poi la missione comincia dopo. Quando dobbiamo continuare ciò che stiamo vivendo di una maniera quotidiana e ordinaria. Io vi auguro che possiamo portare avanti questa sfida insieme.
In conclusione, per guardare al futuro, guardiamo al passato per cercare l’origine della prima esperienza che hanno vissuto gli apostoli, i discepoli, ma anche sant’Eugenio, come leggiamo nel testamento del fondatore “tra di voi la carità, la carità, la carità e fuori lo zelo per la salvezza delle anime”. È anche ciò che abbiamo letto negli Atti degli apostoli. Quindi camminiamo insieme, pensiamo come ciascuno, personalmente, si trova davanti a questo processo, come personalmente curiamo la nostra vita spirituale. Cerchiamo di costruire quel sogno di Dio, quel sogno che Dio ha pensato per il nostro futuro, che sia anche fedele all’origine, la prima esperienza che ha vissuto Gesù con i suoi. Che il Signore ci aiuti.