Mc 9,30-37
Dopo questi tre giorni in cui abbiamo sentito parlare tanti Oblati che hanno un’esperienza enorme di missione ad intra, ad gentes, il vescovo… Che cosa posso dire io? Menomale che il Signore viene in mio aiuto perché Lui ci ha dato le parole giuste per illuminare la conclusione di questa scuola. Quindi posso semplicemente far risuonare quello che il Signore ci ha detto e leggerlo alla luce di quello che abbiamo vissuto in questi giorni.
Io sono molto contento di aver partecipato a questo incontro con voi. Tra le tante cose che fa il Provinciale queste sono le cose più belle: poter condividere la vita ordinaria con la famiglia. A livello provinciale, una cosa che sento che il Signore mi sta dicendo è: c’è una vita. Mettiamoci all’ascolto dello Spirito per capire dove ci vuole portare, perché forse il Signore attraverso il suo Spirito ci sta spingendo in una direzione. E in questo ascolto ci mettiamo tutti, tutti noi.
Una delle domande che ritornava sempre in questi giorni è: quante missioni hai fatto? A quale missione hai partecipato? Secondo me c’è qualcosa che non funziona nel linguaggio perché quello che io ho capito è che la missione non è qualcosa che si fa. Noi siamo missione. La missione non è solo un’attività straordinaria, meravigliosa, ma è soprattutto un modo di vivere le cose. C’è un rischio anche per noi Oblati: facciamo attività missionarie ma quando finisce un’attività facciamo come quando togliamo un paio di occhiali. Cioè, è ovvio che durante una settimana di missione capiamo chi sono le persone da cui dobbiamo andare, cosa dobbiamo fare – amare, avere pazienza – ma poi finisce la missione, ci togliamo gli occhiali e torniamo a essere come siamo. Una cosa che sentivo molto forte che Dio ci diceva in questi giorni è questa: facciamo tante missioni e dobbiamo continuare a farle, ma non perdiamo mai quella che è la dinamica di vita che il Signore ci ha lasciato. Dobbiamo vivere in chiave permanente di missione che è una continua donazione. Questo è il bello. Pensa che puoi vivere le stesse esperienze che vivi in una settimana durante tutta la tua vita, anche a casa, anche al lavoro, anche con quelli che non ti piacciono. Dobbiamo vivere così perché altrimenti viviamo un cristianesimo “degli occhiali” e non vale.
Inoltre, questo Vangelo non parla solo degli altri, parla di noi, dei discepoli, degli Oblati, di tutti. Penso a questi discepoli che erano in missione permanente con Gesù. Lo vedono fare i miracoli, le moltiplicazioni dei pani e dei pesci, le guarigioni, quindi tutti erano effervescenti. Ma Gesù comincia a dire che sarebbe morto, che c’è una cosa che si chiama Croce, che si chiama difficoltà, che fa parte di questo. Quindi, un altro elemento chiave è questo: è bello che quando noi doniamo riceviamo anche. E una frase che ho sentito spesso è che quando fai la missione torni cambiato. Però non possiamo mettere al primo posto quello che riceviamo, perché a volte possiamo ricevere la croce e siamo completamente in linea con Gesù. Anzi, se non c’è la croce qualcosa non va bene. Dobbiamo accettare la croce, la difficoltà e soprattutto – una parola per me chiave nella vita missionaria, anche oblata, anche nel mio servizio – la gratuità. Noi facciamo le cose non per i frutti, noi non siamo quelli che dobbiamo vedere i frutti, nemmeno i numeri. Dobbiamo vivere la gioia di annunciare. Chi suona uno strumento gli piace suonare, ama la musica, non suona perché gli altri lo applaudono. A chi piace dipingere dipinge e fa i quadri. Sì, è bello condividere quello che fai, ma non deve essere la risposta a quello che ti muove. La bellezza della nostra vita è l’annuncio e già l’annuncio è pienezza.
Un’altra cosa che dice questo Vangelo è che anche ai discepoli succedeva quello che accade anche tra noi. A volte nell’equipe missionaria vengono fuori difficoltà nei rapporti. Noi abbiamo questo problema, parliamo sempre in chiave di paragone: io sono meglio, tu sei peggio, io sono il primo, tu fai la missione meglio… E non solo facciamo paragoni, ma ci vogliamo mettere sempre al centro e quando questa è la dinamica della nostra vita, non funziona. Nella missione non sei tu il centro, non siamo noi il centro, è Lui il centro. Quando prendiamo il suo posto, artificialmente sembra che funzioni, ma non funziona. Quindi dobbiamo cancellare dalla nostra testa queste dinamiche che io sono meglio, tu sei peggio, io ho fatto di più o tu hai fatto di meno. Puoi tu sapere che cosa realizza Dio con quello che tu hai fatto? Tu pensi: quello che ho fatto non serve a niente. E poi ti torna in qualche modo. Pensa alla tua vita: a volte persone che nemmeno lo sanno sono state per te chiavi in un momento determinato. Quindi il posto al centro non è per te, è per Gesù.
Un ultimo suggerimento dello Spirito: il centro deve essere dei più piccoli. Non solo i bambini, in generale i più piccoli. Quando prepariamo una missione dobbiamo ascoltare il territorio non solo la parrocchia. Chi sono i poveri? Dobbiamo mettere in programma un’attività per quelli che sono realmente i più poveri poveri, non solo materialmente ma anche spiritualmente. Il centro della missione devono essere i più poveri. Un ascolto, una lettura del territorio che ci faccia capire chi sono i poveri e da questo momento li mettiamo al centro.
E infine, dobbiamo avere un bagno di umiltà perché noi pensiamo che siamo noi che portiamo Gesù agli altri. E penso proprio di no. Gesù già c’è negli altri, noi aiutiamo a scoprire quel Gesù che già c’è nell’altro. Vi ricordo che Gesù ha detto: ogni volta che fate questo a uno dei più piccoli, lo fate a me. Quindi non è che noi siamo i portatori di Gesù Cristo e della salvezza. Dobbiamo aiutare le persone a scoprire quel Gesù che c’è dentro di loro e che nemmeno loro lo sanno. Noi pensiamo che in un certo modo siamo più importanti perché abbiamo Gesù e loro no. Ma quando ci raccontiamo o incontriamo le persone, dobbiamo stare allo stesso livello perché noi non siamo migliori, siamo sicuramente più bisognosi; quindi, non possiamo perdere questo di vista.
Intanto andiamo avanti… auguri! Sono fiero di questa Provincia e pensando provincialmente dobbiamo riprendere le missioni anche in Spagna. Siamo una Provincia, abbiamo più forze qua in Italia e dobbiamo aiutarci come è stato anche dal 2000 al 2008 quando diversi Oblati italiani sono venuti in Spagna a fare le missioni. Dobbiamo recuperare questo ma intanto facciamo crescere la vita e continuiamo ad ascoltare lo Spirito e vediamo che ci dice. Grazie.