Carissimi Confratelli Oblati, Consacrate e Laici della Famiglia Oblata.
Siamo all’inizio dell’anno pastorale, con la ripresa delle molteplici attività apostoliche, e in pieno mese di Ottobre dedicato alla missione. Con questa breve riflessione vorrei offrire qualche considerazione sulla dimensione apostolica che dovrebbe caratterizzare la nostra vita. Quando si parla di missione si possono tener presente diversi elementi: le motivazioni, gli scopi, i destinatari, i contenuti, le modalità ecc.; qui vorrei dire qualcosa sul soggetto della missione che siamo noi, come singoli e come comunità missionaria. Ci sono tanti brani biblici che potremmo approfondire al riguardo e che mettono in evidenza l’una o l’altra dimensione dell’essere missionari. Tra i tanti ne scelgo uno. È un testo del profeta Geremia:
Perché il mio dolore è senza fine e la mia piaga incurabile non vuol guarire? Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti. Ha risposto allora il Signore: ‘Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò e starai alla mia presenza; se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca’ (Ger. 15, 18s).
Questa frase fa parte delle così dette “Confessioni” di Geremia. Confrontandosi con le difficoltà della missione, Geremia si rivolge di tanto in tanto al Signore per chiedere aiuto e il Signore non manca di far sentire la sua vicinanza. Questa volta, però, Geremia non solo si sente perseguitato dai nemici, ma addirittura abbandonato da Dio paragonato ad “un torrente dalle acque incostanti”. Anche in questa occasione Dio riappare, solo che, a differenza delle altre volte, non viene né a consolarlo né ad aiutarlo, bensì ad accusarlo. Geremia confonde preziosi e scorie: si preoccupa più della sua personale situazione (la scoria), di sentirsi, cioè, a suo agio, accolto e stimato dai destinatari della sua missione che del messaggio di Dio che deve trasmettere (quel che prezioso); perciò deve convertirsi. Se lo fa, Dio gli promette che potrà continuare ad essere al Suo servizio, ad essere la Sua bocca. È una promessa paradossale poiché rinnovando la vocazione Dio rinnova le persecuzioni e le difficoltà. Al profeta deve bastare sapere che Dio non è un torrente incostante, ma rimane al suo fianco, con una presenza misteriosa e diversa da quella che si aspetta.
Eugenio è su questa linea quando afferma: «Che cosa devono fare a loro volta gli uomini che vogliono camminare sulle orme di Gesù Cristo, loro divino Maestro, per riconquistargli tante anime…?». Della risposta riporto solo il finale: devono essere «pronti a sacrificare tutti i beni, i talenti, il riposo, la persona e la vita stessa per amore di Gesù Cristo, per il servizio della Chiesa e per la santificazione del prossimo».
Come saremo, quindi, veramente apostoli?
Se accetteremo di non essere più noi con i nostri bisogni e le nostre esigenze il centro dei nostri interessi e vi porremo, invece, il Signore che vogliamo annunciare (= se impareremo a distinguere le scorie da ciò che è prezioso). Ognuno può pensare qui a quali sono, nel proprio impegno missionario e di testimonianza, i limiti e le condizioni che mette al Signore oltre i quali comincia a lamentarsi e a tirarsi indietro. E magari il Signore ci farà la grazia, se gliela chiediamo insieme e con fede, di ripeterci ciò che disse a Geremia: «Se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca».
La nostra missione non è anche un dire con la vita che c’è Qualcuno che vale piùdella nostra stessa vita?
Maria, Regina delle Missioni, volga il suo sguardo materno su di noi che vogliamo, come Lei, portare Gesù al mondo.
Ricordiamoci di pregare sempre gli uni per gli altri.
In J.C. et M. I.
p. Gennaro Rosato omi
Superiore Provinciale