Un’altra caratteristica dell’Associato è il suo amore per la Chiesa, la sua vita nella Chiesa, la sua collaborazione con la Chiesa. L’articolo 6 lo dice esplicitamente. Esso si applica agli Oblati e a tutti i loro Associati.
«Gli Oblati, spinti dall’amore per la Chiesa, compiono la loro missione in comunione con i Pastori che il Signore ha posto a capo del suo popolo, e accettano con lealtà e con fede illuminata l’insegnamento e gli orientamenti dei successori di Pietro e degli Apostoli». «Nelle Chiese locali in cui lavorano, essi coordinano la loro attività missionaria con la pastorale d’insieme e collaborano in spirito di fraternità con gli altri operai del Vangelo». «La loro azione inoltre manifesti un autentico desiderio di unità con tutti coloro che si riconoscono discepoli di Cristo, affinché, secondo la sua preghiera, il mondo creda che il Padre l’ha inviato (cf. Gv 17,21). Infine, sono uniti a quegli uomini che, pur non riconoscendo il Cristo come Signore, si impegnano a promuovere i valori del Regno che viene».
L’Associato, missionario dei poveri, non può essere che “nella Chiesa”, cioè profondamente legato alla Chiesa per la sua fede, per la sua speranza, per la sua carità e integrandosi il più possibile ad essa nella sua preghiera e nella sua azione. L’articolo riflette bene l’amore dell’Associato per la Chiesa, la sua volontà di fedeltà e, contemporaneamente, la sua preoccupazione ecumenica, il suo desiderio di collaborare con qualsiasi persona sincera, desiderosa di promuovere i valori del Regno di Dio.
La nozione di Chiesa, utilizzata nell’articolo, significa contemporaneamente la Chiesa istituzionale, organizzata gerarchicamente, e la Chiesa, popolo di Dio, regno di Dio, che tende a riunire nel suo seno tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà. Eugenio de Mazenod ci ha chiesto di essere gli uomini della Chiesa, gli uomini del Papa, gli uomini dei vescovi; Queste formule bisogna interpretarle correttamente. Quando, nel 1975, il Papa Paolo VI ha definito il beato Eugenio de Mazenod “un uomo incondizionato della Chiesa”, voleva significare qualcosa di molto reale (cfr. A.A.G., 1975, p. 284).
Per Mons. de Mazenod, il Cristo e la Chiesa, è tutt’uno. La Chiesa è “la bella eredità del Salvatore” cioè “la Sposa diletta del Figlio di Dio”, è essa che Egli “ha riscattato col proprio sangue”, è essa “che chiama a gran voce i ministri” a cui affidare i propri figli… (cfr. Prefazione delle Costituzioni). Eugenio de Mazenod ha sofferto per la Chiesa e per il Papa, ha accettato di soffrire ugualmente per la Chiesa e per il Papa. Contemporaneamente egli si è mostrato di una fedeltà indefettibile alla Chiesa e al Papa. Nel suo attaccamento alla Chiesa, vi era soprattutto un atteggiamento di fede, e ci ha chiesto lo stesso atteggiamento. Essere capace di accogliere l’insegnamento della Chiesa con una disposizione di apertura, di fiducia, di ricettività, con un attaccamento virile e una fede profonda, e nel caso fossero necessarie critiche che esse siano veramente positive come quelle di un figlio di famiglia.
Come atteggiamento generale verso la Chiesa, è messo in evidenza l’amore. L’Associato è un uomo che ama la Chiesa. Se questo amore non ci fosse, un amore semplice e profondo, egli non sarebbe felice. Egli ama la Chiesa come ama Gesù Cristo. In essa, egli vede Gesù che continua a dare la vita per la salvezza del mondo. Egli sa che la Chiesa è un mistero. Essa è costituita da uomini e donne, da peccatori e da santi; essa è abitata anche, e animata, dallo Spirito del Cristo che costantemente la purifica, la trasforma e la dirige; essa avanza spesso a tentoni, alla ricerca dei mezzi migliori, i più adatti ai tempi che essa vive, per annunziare al mondo chi è Gesù Cristo e rendere il Vangelo presente nel suo seno. Malgrado le sue debolezze e i suoi limiti, essa sa di avere delle promesse di eternità e di essere condotta dallo Spirito: “La potenza della morte non prevarrà contro di essa” (Mt 16,18). – “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Per la grazia del Cristo, essa è “il sacramento universale di salvezza” (Lumen Gentium, n. 48). Essa ne è perfettamente consapevole e avanza, di secolo in secolo, con fiducia, serenità e umiltà.
La principale manifestazione di amore per la Chiesa sarà, per l’Associato, la sua comunione con essa e con i suoi Pastori, sia nel pensiero che nell’azione. A riguardo della Chiesa locale due cose sono richieste all’Associato: che egli coordini la sua attività con la pastorale della diocesi e che collabori, in spirito di fraternità, con gli altri operai del Vangelo. La volontà di essere fedele al carisma oblato, lungi dal separarlo dalla Chiesa locale, lo integra maggiormente. A riguardo degli altri credenti e degli uomini che si impegnano a promuovere i valori del Regno che viene, come la pace, l’amore, la gioia, la libertà, l’Associato è invitato a un atteggiamento di accoglienza e di solidarietà nel bene. Non si tratta di condannare l’altro, di tenersi lontano, bisogna al contrario essergli unito e sostenerlo nell’opera che egli compie. Verso “tutti coloro che si riconoscono discepoli di Cristo”, l’Associato risponde semplicemente alla preghiera di Gesù: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me, perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,20-21).
Riguardo agli “uomini che, pur non riconoscendo il Cristo come Signore, si impegnano a promuovere i valori del Regno che viene”, l’Associato vuole imitare Dio che riconosce il bene in ogni uomo di buona volontà e gli accorda il dono della salvezza, se egli lo cerca con cuore sincero e si sforza di compiere la sua volontà essendo fedele alla propria coscienza (cfr. Lumen Gentium n. 16).
Come sacramento universale di salvezza, la Chiesa non ha frontiere, essa ha per missione “di annunziare e instaurare in tutte le nazioni il Regno di Cristo e di Dio” (ibid., n. 5).
(da Carisma oblato e associati laici, di p. Fernand Jetté OMI)
Otro rasgo del asociado es su amor a la Iglesia, su vida en la Iglesia, su colaboración con la Iglesia. El artículo 6 lo dice claramente. Se aplica a los oblatos y a todos sus asociados.
Por amor a la Iglesia, los oblatos cumplen su misión en comunión con los pastores que el Señor ha puesto al frente de su pueblo; aceptan lealmente, con fe esclarecida, la enseñanza y las orientaciones de los sucesores de Pedro y de los Apóstoles.
En las Iglesias locales donde trabajan, coordinan su actividad misionera con la pastoral de conjunto y colaboran fraternalmente con los demás obreros del Evangelio.
Su acción debe manifestar también un verdadero deseo de unidad con todos aquellos que se reconocen discípulos de Cristo para que, según su oración, el mundo crea que el Padre le ha enviado (cf. Jn 17,21). Finalmente, están unidos a los hombres que, sin conocer a Cristo como Señor, se dedican a promover los valores del Reino que se acerca.
El asociado, misionero de los pobres, no puede serlo sino en la Iglesia, es decir, estando profundamente vinculado a la Iglesia por su fe, su esperanza, su caridad e integrándose lo más posible a ella en su oración y su acción. El artículo refleja bien el amor del asociado por la Iglesia, su voluntad de fidelidad y, al mismo tiempo, su preocupación ecuménica, su deseo de colaborar con toda persona sincera, deseosa de promover los valores del Reino de Dios.
La noción de Iglesia utilizada en el artículo significa a la vez la Iglesia institucional, organizada jerárquicamente, y la Iglesia, pueblo de Dios, reino de Dios, que tiende a reunir en su seno a todos los hombres y a todas las mujeres de buena voluntad. Eugenio de Mazenod nos ha pedido ser los hombres de la Iglesia, los hombres del Papa, los hombres de los obispos. Estas fórmulas, conviene interpretarlas correctamente. Cuando, en 1975, el papa Pablo VI ha definido al beato Eugenio de Mazenod “un incondicional de la Iglesia”, quería significar algo muy real (cf. A.A.G., 1975, p. 284).
Para mons. de Mazenod, Cristo y la Iglesia es todo uno. La Iglesia es la “preciada herencia del Salvador”, es la “querida Esposa del Hijo de Dios”, es aquella a la que ha rescatado con su sangre, es la que “llama a voces a los ministros” a quienes encomendar sus hijos… (cf. Prefacio de las Constituciones). Eugenio ha sufrido por la Iglesia y el Papa; ha aceptado sufrir asimismo por la Iglesia y por el Papa. Al mismo tiempo, se mostró de una fidelidad indefectible a la Iglesia y al Papa. En su adhesión a la Iglesia, tenía sobre todo una actitud de fe, y nos ha pedido la misma actitud. Ser capaz de acoger la enseñanza de la Iglesia con una disposición de apertura, de confianza, de receptividad, con una adhesión viril y una fe profunda, y si debiera haber críticas, que sean verdaderamente positivas, como las de un hijo en la familia.
Como actitud general para con la Iglesia, es puesto en evidencia el amor. El asociado es una persona que ama a la Iglesia. Si este amor no existiera, un amor sencillo y profundo, no sería feliz. Ama a la Iglesia como ama a Jesucristo. En ella ve a Jesús que sigue dando su vida por la salvación del mundo. Sabe que la Iglesia es un misterio. Está constituida por hombres y mujeres, pecadores y santos; es habitada también, y animada, por el Espíritu de Cristo que constantemente la purifica, la transforma y la dirige; avanza a menudo a tientas, en busca de los medios mejores, mejor adaptados al tiempo en que vive, para decir al mundo quién es Jesucristo y hacer al Evangelio presente en su seno. A pesar de sus debilidades y sus limitaciones, sabe que tiene promesas de eternidad y que el Espíritu la guía: “El poder de la muerte no prevalecerá contra ella” (cf. Mt 16,18). – “Y yo, estoy con vosotros todos los días hasta el fin de los tiempos” (cf. Mt 28,20). Por la gracia de Cristo, es “el sacramento universal de salvación” (Lumen Gentium, nº 48). Tiene plena conciencia de ello y avanza, siglo tras siglo, con confianza, serenidad y humildad.
La principal manifestación de amor por la Iglesia será, para el asociado, su comunión con ella y sus Pastores, tanto en el pensamiento como en la acción. Con respecto a la Iglesia local, dos cosas se piden al asociado: que coordine su actividad con la pastoral de la diócesis y que colabore, en espíritu de fraternidad, con los demás obreros del Evangelio. La voluntad de ser fiel al carisma oblato, lejos de separarlo de la Iglesia local, lo integra más. Con respecto a los otros creyentes y hombres que se consagran a promover los valores del Reino que se acerca, como la paz, el amor, la alegría, la libertad, el asociado es invitado a una actitud de acogida y de solidaridad en el bien. Ya no se trata de condenar al otro, de mantenerse lejos de él; es necesario, por el contrario, estarle unido e incluso apoyarle en la obra que realiza. Para “con todos aquellos que se reconocen discípulos de Cristo”, el asociado responde simplemente a la oración de Jesús: “No ruego sólo por éstos, sino también por aquellos que, por medio de su palabra, creerán en mí, para que todos sean uno. Como tú, Padre, en mí y yo en ti, que ellos también sean uno en nosotros, para que el mundo crea que tú me has enviado” (Jn 17,20-21).
Con respecto a “los hombres que, sin conocer a Cristo como Señor, se dedican a promover los valores del Reino que se acerca”, el asociado quiere imitar a Dios que reconoce el bien en todo hombre de buena voluntad y le concede el don de la salvación, si lo busca con sincero corazón y se esfuerza en cumplir su voluntad siendo fiel a su conciencia (cf. Lumen Gentium, nº 16).
Como sacramento universal de salvación, la Iglesia no tiene fronteras, tiene la misión de “anunciar e instaurar en todas las naciones el Reino de Cristo y de Dios” (cf. ibid., nº 5).
(de Carisma oblato y asociados laicos, del P. Fernand Jetté OMI)