Nell’articolo 8 si parla di un’altra caratteristica dell’Associato: la vicinanza alla gente. 

«Profondamente vicini alle persone con le quali lavorano, gli Oblati saranno costantemente attenti alle loro aspirazioni e ai valori che esse portano. Non temano di presentare chiaramente le esigenze del Vangelo, ed abbiano l’audacia di aprire anche nuove strade affinché il messaggio di salvezza raggiunga tutti gli uomini. Umili di fronte ai propri limiti, ma fiduciosi nella potenza di Dio, si sforzeranno di condurre tutti gli uomini, specialmente i poveri, alla piena coscienza della loro dignità di essere umani e di figli e figlie di Dio».

Quest’articolo si applica agli Oblati e si applica in pieno anche all’Associato. Avere con la gente un atteggiamento di semplicità e di amore, di vicinanza, di attenzione e di rispetto. E anche un atteggiamento di forza e di audacia, di fiducia e d’umiltà. Un grande desiderio lo invade: “condurre tutti gli uomini, specialmente i poveri, alla piena coscienza della loro dignità di essere umani e di figli e figlie di Dio”. In una parola, vien chiesto all’Associato di avere un comportamento simile a quello di Gesù: vedere le persone con lo sguardo di Cristo e amarle col cuore di Cristo.

Essere “profondamente vicini alla gente” vuol dire che noi cercheremo di ridurre il più possibile le distanze che ci separano da loro. Queste distanze sono d’ordine fisico e materiale, come abitare lontano da esse, non parlare la loro lingua, avere uno stile di vita troppo diverso da loro, ecc., ma soprattutto esse sono d’ordine psicologico, come i pregiudizi di cultura, di sesso o di razza, le suscettibilità, gli atteggiamenti di superiorità, di sufficienza, di egoismo. L’Associato va verso la gente con un cuore fraterno ed aperto. Egli li ama e prende l’iniziativa di andare tra loro. Egli indovina le ricchezze del loro cuore e si fa il più possibile uno di loro. Egli è incapace di dire male di loro. 

Il suo modello è Cristo, Figlio di Dio, che si è incarnato in una carne umana per avvicinarsi a noi e che ha tutto preso dalla nostra natura, eccetto il peccato. Il suo modello è Paolo che “libero da tutti, si è fatto tutto a tutti” (1 Cor 9,19 e 22). Il beato Giuseppe Gérard, O.M.I., missionario nel Lesotho, era maestro in questo amore e sapeva essere vicino alla gente. Egli praticava “l’apostolato della conversazione”. “Vi è un altro modo di predicare – egli diceva – vi è l’apostolato della conversazione; quest’apostolato spicciolo, sermo pedestris, che si esercita nelle vie, nei campi, nel focolare domestico, al capezzale dei malati. Quante anime ricuperate soprattutto quando il cuore aiuta la parola. Il Curato di Ars aveva ben compreso che avrebbe cominciato a far del bene unicamente dopo di essersi fatto amare. Ora vi è un segreto per farsi amare, è amare. Vale questo anche per gli infedeli, i Basotho, i Matebele, ecc. Vedendoli ci si può rattristare e domandarsi cosa fare per convertirli. La risposta è in ogni pagina del Vangelo, bisogna amarli, amarli sempre. Il buon Dio ha voluto che non si faccia del bene all’uomo se non amandolo. Il mondo appartiene a chi l’amerà di più e glielo proverà” (J. Gérard, O.M.I., Lettres et Écrits divers, Roma, 1988, pp. 201-202). I modi della presenza tra la gente possono variare, a secondo degli ambienti sociali e del temperamento di ognuno ma sempre vi dovrà essere il sentimento di rispetto, di amore e di attenzione. Questa presenza sarà per l’Associato una presenza umana e sarà la presenza del Cristo tra loro. E questo ci ricorda la seconda frase dell’articolo: “Non temano di presentare chiaramente le esigenze del Vangelo, ed abbiano l’audacia di aprire nuove strade affinché il messaggio di salvezza raggiunga tutti gli uomini”. Una tale opera è al di sopra delle nostre forze. Si tratta dell’opera di Dio che si compie attraverso il nostro lavoro e la nostra vita. Conseguentemente, l’Associato coltiverà nel suo cuore la fiducia e l’umiltà: un’umiltà vera di fronte alle sue insufficienze e, contemporaneamente, una fiducia incrollabile in Dio che è onnipotente e più grande delle nostre miserie. Sempre un desiderio anima l’Associato “condurre tutti gli uomini, specialmente i poveri, alla piena coscienza della loro dignità di esseri umani e di figli e figlie di Dio”.

Due regole – che cito – completano quest’articolo: una ci chiede di aiutare le persone a sviluppare i propri doni e a prendere le proprie responsabilità in seno alla comunità cristiana, e l’altra, che ci invita a farci arricchire, evangelizzare dalle persone con cui lavoriamo. 

 R 6. (R.7f) “Sosterremo i laici nei loro sforzi per discernere e sviluppare i talenti e i carismi loro propri; li incoraggeremo ad impegnarsi nell’apostolato, ad assumere dei ministeri e a prendere così le responsabilità che spettano loro in seno alla comunità cristiana”

Questa regola resta generica, non precisa un campo particolare, ma il suo messaggio è chiaro. Essa vi domanda, come Associati, di impegnarvi in quest’orientamento della Chiesa oggi: dare agli altri, uomini e donne, il vostro aiuto affinché essi possano assumere nella società attuale tutte le responsabilità, sia nell’attività caritativa, nell’apostolato e nella liturgia, come anche nel rinnovamento cristiano dell’ordine temporale. 

R 8.(R 8a) “Lavorando con i poveri e con gli emarginati, ci lasceremo evangelizzare da loro, poiché spesso ci fanno capire in maniera nuova il Vangelo che annunciamo. Attenti alla mentalità della gente, accetteremo di lasciarci arricchire dalla loro cultura e dalle loro tradizioni religiose”.

Questa seconda regola possiede un sapore particolare. Essa ricorda che l’Associato, come l’Oblato, va verso la gente non solo per portare loro qualcosa, ma per divenire il loro beneficiario e arricchirsi al loro contatto. Essi hanno le loro ricchezze e l’Associato ha le sue povertà. Le persone, anche le più povere, le più lontane dalla Chiesa, possono dargli molto, se il suo cuore è aperto. Essi hanno talvolta un’esperienza umana, delle ricchezze culturali e religiose, una generosità, una sete di giustizia e di verità, un senso del dovere, che l’Associato non possiede forse allo stesso grado. Capiterà anche che alcuni di essi, spesso persone semplici e di fede profonda, verranno da lui per farsi aiutare o per chiedere consiglio, permettendogli di conoscere Dio, di ammirare la sua azione, in una maniera che gli era finora sconosciuta. Queste persone hanno un contatto con Dio, un’esperienza di Dio e della sua presenza nella loro anima, che l’Associato non ha. In tutta verità esse “ci fanno capire in maniera nuova il Vangelo che annunciamo”. È questa una delle grazie della vita dell’Associato.

(da Carisma oblato e associati laici, di p. Fernand Jetté OMI)


En el artículo 8, se trata de otro rasgo del asociado: su proximidad a la gente.

Siempre cerca de la gente con la que trabajan, los oblatos prestarán constantemente atención a las aspiraciones de la misma y a los valores que posee. No temerán presentar con claridad las exigencias del Evangelio y abrirán con audacia nuevos caminos para que el mensaje de salvación llegue a todos los hombres. Humildes ante la propia insuficiencia, pero confiando en el poder de Dios, se afanarán por conducir a todos, especialmente a los pobres, a la plena conciencia de su dignidad de seres humanos e hijos de Dios.

Este artículo se aplica a los oblatos; se aplica plenamente también al asociado. Tener con la gente una actitud de sencillez y de amor, de cercanía, de atención y de respeto. Y también una actitud de fuerza y de audacia, de confianza y de humildad. Un gran deseo la penetra: “conducir a todos los hombres, especialmente a los pobres, a la plena conciencia de su dignidad de seres humanos e hijos de Dios”. En una palabra, se pide al asociado tener un comportamiento parecido al de Jesús: ver a la gente con la mirada de Cristo y amarla con el corazón de Cristo.

Estar “cerca de la gente”, esto quiere decir que tratamos de reducir lo más posible las distancias que nos separan de ella. Estas distancias son de orden físico y material, como vivir lejos de ella, no hablar su lengua, tener un estilo de vida muy diferente de ella, etc., pero sobre todo son de orden psicológico, como los prejuicios de cultura, de sexo o de raza, las susceptibilidades, la actitudes de superioridad, de suficiencia, de egoísmo. El asociado va hacia la gente con un corazón fraternal y abierto. La ama y toma la iniciativa de ir hacia ella. Adivina las riquezas de su corazón y se hace lo más posible uno de ellos. Es incapaz de hablar mal de ellos.

Su modelo es Cristo, Hijo de Dios, que se encarnó en una carne humana para acercarse a nosotros y que ha asumido todo de nuestra naturaleza, excepto el pecado. Es el Apóstol Pablo quien, “ libre de todos, se hizo todo a todos” (1 Cor 9,19 y 22). El beato José Gérard, o.m.i., misionero en Lesotho, era maestro en este amor y sabía estar cerca de la gente. Practicaba “el apostolado de la conversación”. “Hay otra predicación, decía. Es el apostolado de la conversación. Este apostolado al mismo nivel, sermo pedestris, que se ejerce en la calle, los campos, el hogar de la familia, a la cabecera del enfermo. Cuántas almas se hacen ‘volver’ sobre todo cuando el corazón ayuda a la palabra. El cura de Ars comprendía que sólo comenzaría a hacer bien a sus feligreses cuando se hubiera hecho amar por ellos. Ahora bien, hay un secreto para hacerse amar, es amar. Lo mismo para los infieles, los basutos, matebeles, etc. Al verlos puede uno entristecerse y preguntarse qué hacer para convertirlos. La respuesta está en todas las páginas del Evangelio, hay que amarlos, amarlos a pesar de todo, amarlos siempre. Dios ha querido que sólo se haga el bien al hombre amándolo. El mundo pertenece a quien lo ama más y se lo demuestra” (J. Gérard, o.m.i., Lettres et Ecrits divers, Roma, 1988, págs. 201-202).

Según los ambientes sociales y el temperamento de cada uno, los modos de la presencia a la gente pueden variar, pero siempre el sentimiento de respeto, de amor y de atención estará ahí. Esta presencia no será para el asociado sólo una presencia humana, será la presencia de Cristo entre ellos. Es lo que nos recuerda la segunda frase del artículo: “No temerán presentar con claridad las exigencias del Evangelio y abrirán con audacia nuevos caminos para que el mensaje de salvación llegue a todos los hombres”. Tal obra está por encima de nuestras fuerzas. Es la obra de Dios que se realiza por nuestro trabajo y nuestra vida. En consecuencia, el asociado cultivará en su corazón la confianza y la humildad: una humildad verdadera ante sus insuficiencias y, al mismo tiempo, una confianza inquebrantable en Dios que es todopoderoso y más grande que nuestras miserias. Siempre un deseo habita al asociado: “conducir a todos los hombres, especialmente a los pobres, a la plena conciencia de su dignidad de seres humanos e hijos de Dios”.

Dos reglas -que voy a citar- completan este artículo: una, que nos pide ayudar a la gente a desarrollar sus propios talentos y a asumir sus responsabilidades en el seno de la comunidad cristiana, y otra, que nos invita a dejarnos enriquecer, evangelizar por la gente con la que trabajamos.

R. 6. [R. 7f] Apoyaremos a los laicos en su esfuerzo por discernir y desarrollar sus propios talentos y carismas. Los animaremos a comprometerse en el apostolado, a encargarse de ministerios, asumiendo las responsabilidades que les incumben en el seno de la comunidad cristiana.

Esta regla sigue siendo general, no precisa campo particular, pero su mensaje es claro. Les pide, como asociados, comprometerse en esta orientación de la Iglesia de hoy: prestar a los otros, hombres y mujeres, su ayuda a fin de que puedan asumir, en la sociedad actual, todas las responsabilidades, tanto en la acción caritativa, el apostolado y la liturgia, como en la renovación cristiana del orden temporal.

R. 8. [8a] Trabajando con los pobres y los marginados, nos dejaremos evangelizar por ellos, pues a menudo nos hacen escuchar de forma nueva el Evangelio que anunciamos. Prestando atención a la mentalidad de la gente, aceptaremos dejarnos enriquecer por su cultura y sus tradiciones religiosas.

Esta segunda regla posee un sabor particular. Recuerda que el asociado, como el oblato, va hacia la gente no sólo para aportarle algo, sino para llegar a ser su ‘beneficiario’ y enriquecerse en contacto con ella. Ella tiene sus riquezas y el asociado tiene sus pobrezas. La gente, incluso la más pobre, la más alejada de la Iglesia, puede aportar mucho, si su corazón es abierto. Tiene a veces una experiencia humana, riquezas culturales y religiosas, una generosidad, una sed de justicia y de verdad, un sentido del deber, que el asociado no posee tal vez en el mismo grado. Sucederá incluso que algunos de ellos, a menudo gente sencilla y de fe profunda, que irán a él para recibir ayuda o pedir consejo, permitiéndole conocer a Dios, admirar su acción, de una manera que hasta entonces le era desconocida. Esta gente tiene un contacto con Dios, una experiencia de Dios y de su presencia en su alma, que el asociado no tiene. A decir verdad “nos hacen escuchar de forma nueva el Evangelio que anunciamos”. Es una de las gracias de la vida de asociado.

(de Carisma oblato y asociados laicos, del P. Fernand Jetté OMI)