L’articolo 9 esprime una via nuova di evangelizzazione. Esso risponde in modo particolare a un bisogno contemporaneo: l’impegno per la giustizia e la pace, per la santità di Dio nel mondo. Gli Associati sono membri della Chiesa profetica.
«Membri della Chiesa profetica, devono essere testimoni della giustizia e della santità di Dio, pur riconoscendo d’aver essi stessi bisogno di conversione. Annunciano la presenza liberatrice di Cristo e il mondo nuovo, nato dalla sua risurrezione. Sentono e fanno sentire il grido di chi non ha voce, invocazione al Dio che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili (cfr. Lc 1,52). Compiono tale missione nella comunione ecclesiale, in conformità delle disposizioni della gerarchia e in dipendenza dai Superiori».
Tutti riconoscono, per una Congregazione missionaria e per i suoi Associati, la necessità di aprirsi a questa dimensione nuova e d’impegnarsi, in modo chiaro, in questa battaglia per la giustizia e la difesa dei diritti umani. Effettivamente il profetismo richiesto, anche se riguarda la giustizia sociale, è molto più vasto della sola difesa dei diritti umani. Esso esprime ciò che è al centro della vita cristiana, il suo profetismo fondamentale: la contestazione del mondo, del mondo molto ambiguo caratterizzato dal peccato, nel quale viviamo, e la sua contestazione per la giustizia e la santità di Dio. “Annunciare la presenza liberatrice di Cristo” è ricordare il ruolo sempre attuale di Cristo nella liberazione dell’uomo e la fondazione di un mondo migliore, più giusto, più accogliente per il povero, il malato, lo sfortunato.
“Il mondo nuovo, nato dalla risurrezione di Cristo”, ha un doppio significato: esso anzitutto è il mondo escatologico che verrà alla fine dei tempi, quando il Regno di Dio sarà pienamente realizzato; ma esso è anche un mondo più evangelico, già possibile sulla terra, grazie all’azione di Cristo che si continua nel cuore degli uomini e attraverso il ministero della Chiesa, e che tende a stabilire maggiore giustizia, maggiore fiducia e maggiore amore tra gli uomini e tra i popoli della terra. Il P. James Cooke, già assistente generale, ricordava spesso questo dovere con la seguente riflessione: “Aspettare il cielo sulla terra è un’illusione, ma tollerare che l’inferno esista sulla terra non è cristiano. Noi siamo chiamati a lavorare con i poveri per aiutarli a rendere il mondo meno simile all’inferno e un po’ più simile al cielo”.
Oltre ad annunziare la presenza liberatrice di Cristo, ci è richiesto, come secondo atteggiamento, di farci i porta-parola del povero. “Essi sentono e fanno sentire il grido di chi non ha voce, invocazione al Dio che rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili (cfr. Lc 1,52)”. Ciò significa anzitutto che l’Associato è sensibile, attento al grido dei poveri, di coloro che non hanno diritto di parola o non sanno come esprimere le loro sofferenze e i loro bisogni. Egli si ferma ad ascoltarli, a vedere ciò che si nasconde sotto i loro gridi e le loro lamentele. Ciò significa inoltre che egli li aiuta a trovare le vie necessarie per formulare le loro richieste e per farsi ascoltare, salvo a divenire lui stesso, quando l’intervento sembra opportuno, il loro portaparola, la voce di chi non ha voce. Questo clamore, questo grido del povero costituisce in qualche modo una preghiera, “un’invocazione al Dio che rovescia i potenti dai loro troni e innalza gli umili”. Questa missione l’Associato la compie nel suo ambiente, secondo la sua grazia e l’appello ricevuto, “egli lo fa in unione alla Congregazione e nella comunione con la Chiesa”. Per gli Oblati, vengono menzionati alcune attività possibili, come la condivisione della vita dei poveri, l’impegno per la giustizia, la presenza lì dove si prendono le decisioni che interessano l’avvenire del mondo dei poveri. Ma soprattutto, alla fine della Regola 9, si ricorda che, qualsiasi sia il lavoro di ognuno, tutti gli Oblati – e anche gli Associati – devono “collaborare, secondo la loro vocazione, con tutti i mezzi conformi al Vangelo, alla trasformazione di tutto ciò che è causa di oppressione e di povertà, impegnandosi così al sorgere di una società fondata sulla dignità della persona creata ad immagine di Dio” (R. 9).
(da Carisma oblato e associati laici, di p. Fernand Jetté OMI)
El artículo 9 expresa un camino nuevo de evangelización. Responde de manera particular a una necesidad contemporánea: el compromiso por la justicia y la paz, por la santidad de Dios en el mundo. Los asociados son miembros de la Iglesia profética.
Como miembros de la Iglesia profética, los oblatos han de ser testigos de la santidad y la justicia de Dios, reconociéndose ellos mismos necesitados de conversión. Anuncian la presencia liberadora de Cristo y el mundo nuevo que nace de su resurrección. Escuchan y hacen que se escuche el clamor de los sin voz, que apela al Dios que “derriba del trono a los poderosos y enaltece a los humildes” (Lc 1,52). Llevan a cabo esta misión profética en la comunión eclesial, según las disposiciones de la jerarquía y bajo la dependencia de los superiores.
Todo el mundo reconoce, para una Congregación misionera y para sus asociados, la necesidad de abrirse a esta dimensión nueva y de comprometerse, de manera clara, en este combate por la justicia y la defensa de los derechos humanos. Efectivamente, el profetismo pedido, incluso si se refiere a la justicia social, es mucho más amplio que la sola defensa de los derechos humanos. Expresa lo que está en el centro de la vida cristiana, su profetismo fundamental: la impugnación del mundo, es decir, del mundo muy ambiguo marcado por el pecado, en el que vivimos, y su impugnación por la justicia y la santidad de Dios.
“Anunciar la presencia liberadora de Cristo” es recordar el papel siempre actual de Cristo en la liberación del hombre y el establecimiento de un mundo mejor, más justo, más acogedor para el pobre, el enfermo, el necesitado. “El mundo nuevo que nace de la resurrección [de Cristo]”, tiene un doble significado: es, por de pronto, el mundo escatológico que llegará al final de los tiempos, cuando el Reino de Dios se realice plenamente; pero es también un mundo más evangélico, ya posible en la tierra, gracias a la acción de Cristo que se continúa en el corazón de los hombres y a través del ministerio de la Iglesia, y que tiende a establecer más justicia, confianza y amor entre los hombres y entre los pueblos de la tierra. El P. James Cooke, antiguo asistente general, recordaba a menudo este deber por la reflexión siguiente: “Esperar el cielo sobre la tierra es una ilusión, pero tolerar que el infierno exista sobre la tierra no es cristiano. Estamos llamados a trabajar con los pobres para ayudarlos a hacer el mundo menos semejante al infierno y un poco más parecido al cielo”.
Además de anunciar la presencia liberadora de Cristo, se nos pide, como segunda actitud, hacernos portavoces del pobre: “Escuchan y hacen que se escuche el clamor de los sin voz, que apela al Dios que ‘derriba del trono a los poderosos y enaltece a los humildes’ (Lc 1,52)”. Esto significa ante todo que el asociado es sensible, está atento a los gritos de los pobres, de los que no tienen derecho de palabra y no saben cómo expresar sus sufrimientos y sus necesidades. Toma el tiempo para escucharlos, para ver lo que se oculta bajo sus gritos y sus quejas. Esto significa después que los ayuda a encontrar los caminos necesarios para formular sus peticiones y hacerse escuchar, aunque tenga que ser él mismo, cuando la cosa parece oportuna, su portavoz, la voz de los sin voz. Este clamor, este grito del pobre constituye en cierto modo una oración, una apelación “al Dios que derriba del trono a los poderosos y enaltece a los humildes”.
Esta misión, el asociado la realiza en su ambiente, según su gracia propia y la llamada recibida, y lo hace en unión con la Congregación y en la comunión con la Iglesia. Para los oblatos, se mencionan algunas actividades posibles, como el compartir la vida de los pobres, el compromiso por la justicia, la presencia allí donde se toman las decisiones que influyen en el porvenir del mundo de los pobres. Pero, sobre todo, al final de la regla 9 [R. 9a], se recuerda que, sea cual sea el trabajo de cada uno, todos los oblatos -y también los asociados- deben “colaborar, según su vocación, por todos los medios conformes con el Evangelio, en la transformación de cuanto es causa de opresión y de pobreza, contribuyendo así a implantar una sociedad cuya base sea la dignidad de la persona creada a imagen de Dios” (R. 9a).
(de Carisma oblato y asociados laicos, del P. Fernand Jetté OMI)