Carissimi Confratelli Oblati, Consacrate e Laici della Famiglia Oblata,

come sicuramente saprete, lo scorso marzo si è svolta a Genova una settimana di animazione missionaria in occasione del 25° della morte di p. Giovanni Santolini omi (chi volesse approfondire può visitare il sito: www.giovannisantolini.it). A breve si celebrerà il Congresso mondiale dei laici, evento che riguarda tutta la famiglia oblata; credo che p. Giovanni possa dire una parola che vada bene a tutti, qualsiasi sia la vocazione specifica: «Fatevi santi!».

Non posso dire di aver conosciuto bene p. Giovanni. Ci siamo incontrati, se non sbaglio, solo due o tre volte di persona. Grazie, però, alla celebrazione del 25° della sua partenza, ho avuto l’opportunità di avvicinarmi un po’ di più a lui e mi sembra di aver colto proprio nel desiderio di essere santo il filo d’oro della sua vita. 

Senza assolutamente avere la pretesa della completezza, prendendo qualche spunto dalla sua storia, mi permetto di sottolineare alcuni elementi di un cammino di santità che credo possano essere utili a chiunque.

Un primo elemento è la percezione della grandezza, della bontà e dell’amabilità di Dio. Non credo sia un caso il fatto che p. Fabio Ciardi abbia intitolato la biografia di p. Giovanni “Per cantare al mondo il Tuo amore”. Il card. di Kinshasa, card. Ambongo, che ha curato la prefazione al libro, sinteticamente descrive quello che p. Fabio analizzerà lungo il racconto del suo libro e cioè in che modo p. Giovanni ha cantato l’amore di Dio nei 10 anni di missione vissuti con generosità e passione in Congo. E ha potuto “cantarlo” questo amore perché lui per primo lo sperimentava nella propria vita. In un suo testo p. Giovanni scrive: «Quando noi mettiamo Dio amore al centro della nostra vita vuol dire che crediamo alla possibilità di amare, crediamo che solo l’amore costruisca». Mi piace ricordare, a questo proposito, quanto il card. Martini scrisse commentando il salmo 103 (102), e cioè che l’inizio di ogni autentica religiosità e il suo costante nutrimento è la contemplazione dell’amore personale di Dio. Questa coscienza non solo spinge la persona alla preghiera come luogo privilegiato di incontro con Dio, ma anche a spendere la vita per Lui attraverso l’offerta di sé per essere canale della cura di Dio nei confronti degli altri. È stata questa l’esperienza di p. Giovanni che si inserisce nella scia dell’esperienza dell’apostolo Paolo, del nostro fondatore, s. Eugenio, e di tutti i cristiani che hanno voluto e vogliono vivere autenticamente la loro vita.

Un secondo elemento che ci consegna p. Giovanni è, potremmo dire, vivere l’ordinario in un modo straordinario. Ero presente anch’io all’incontro di formazione dei giovani in cui p. Giovanni raccontò la sua esperienza in Congo e che intitolò «Eroe per abitudine». Credo che tanti abbiamo potuto ascoltare o leggere la sua testimonianza; erano tempi difficili a causa dei disordini sociali e a causa dell’ebola. Rileggendo il suo modo di stare nei fatti, negli avvenimenti difficili di quel periodo, p. Giovanni si chiede: «Un eroe? Ma è capitato per caso e non ho potuto fare diversamente. Se tu stai lì e dai la vita per questa gente, è normale che gli dai la vita facendo delle fotocopie quando devi fare le fotocopie, scrivendo a macchina quando devi scrivere a macchina, programmando l’orario dei professori quando lo devi fare, partecipando a una marcia quando devi andare, facendoti pestare… Non è che uno fa l’eroe per fare l’eroe, è che hai talmente l’abitudine di stare attento all’altro che alla fine» diventa parte di te vivere come dono per gli altri.

Se avessimo bisogno di una conferma di quanto p. Giovanni dice, cito il Catechismo degli adulti (CEI, La Verità vi farà liberi, n° 841): «La carità non ci rende indifferenti, ma capaci di amare tutti appassionatamente in Dio; non ci sottrae alla storia, ma ci immerge in essa (…). La santità cristiana si incarna nella concretezza della vita quotidiana. Porta a far bene tutto quello che si fa, a concentrarsi sul momento presente, a non fare l’abitudine alle cose ordinarie. Una grande santità può maturare attraverso le piccole cose di ogni giorno».

Un terzo elemento è il modo di affrontare il dolore. Proprio la storia che in prima persona viviamo, come la grande storia del mondo che a volte, come in questo periodo,  vive vere e proprie tragedie, può mettere a dura prova la nostra fede nella presenza operante e benefica di Dio. Il discorso, a questo punto, potrebbe farsi lungo e impegnativo. Mi fermo dando semplicemente la parola a p. Giovanni che comunica la maturazione della sua esperienza al riguardo: «Dio non toglie i problemi, ma mi domanda di amarLo nei problemi, e a poco a poco mi accorgo che è proprio questo che mi fa andare avanti, e che mi dà serenità e pace interiore. Sento che il mio ruolo qui sia quello di dare pace e serenità, di prendere su di me le tensioni e, anche a costo di sembrare sciocco, di far si che non si vedano i problemi ma che si veda il positivo e che si vada avanti…» (p. Giovanni in una lettera a p. Fabio Ciardi, aprile 1995).

Un quarto elemento che voglio richiamare è l’importanza dell’altro, nel cammino di santità. Non ci si fa santi da soli, si cresce insieme, grazie ai fratelli. Non credo di esagerare se dico che questa fu una scoperta che cambiò la vita di p. Giovanni. Quando il nostro fondatore volle creare il primo gruppo missionario aveva già bene in mente il fine, o meglio, i fini dell’opera che stava nascendo: l’evangelizzazione dei poveri e l’aiutarsi a farsi santi insieme. Il fratello è una via privilegiata per poter diventare quel capolavoro che Dio ha pensato quando ci ha creati. Il fratello, ad esempio, ci offre l’occasione per esercitare la carità nelle molteplici forme che la vita ci offre; il fratello ci aiuta poi a vedere cosa di noi va perfezionato, attraverso la correzione fraterna. È grazie al fratello che è possibile vivere in quell’amore reciproco che tesse la rete relazionale dei rapporti che contraddistingue i cristiani e che li fa «concittadini dei santi e familiari di Dio». E, soprattutto, è insieme ai fratelli che è possibile sperimentare e gioire della presenza di Gesù, il Santo, che ha promesso di essere presente in mezzo a loro (Mt 18,20).

Un ultimo elemento è legato più esplicitamente alla missione. Sappiamo che p. Giovanni desiderava andare lontano, arrivare fino al Polo nord; ed è stato questo uno dei motivi che lo ha spinto ad entrare tra i Missionari Oblati. L’obbedienza lo ha portato, invece, in Congo dove ha speso la sua vita per la gente. Ci è andato, però, con una luce che ci consegna come dono prezioso così sintetizzata: «vivere nel particolare la nostra dimensione universale». Cioè vivere con passione lì dove sei avendo a cuore il mondo intero.  È la manifestazione della coscienza di essere parte di un corpo più grande per il quale è importante il particolare che ti è consegnato. Rendere più bello il pezzetto di mondo che è affidato a te è dare un contributo a rendere più bello il mondo intero, più vivibile, più umano; si diventa così cooperatori della realizzazione del disegno di Dio sull’umanità. A questo punto, se è importante capire in quale punto della Terra spendere la vita, è ancora più importante, lì dove sei, sforzarti di essere una presenza costruttiva e sentirti, allo stesso tempo, parte viva di una rete che desidera abbracciare il mondo intero.

Maria Immacolata, capolavoro di santità, ci sia accanto in questo cammino che vogliamo fare insieme.

p. Gennaro Rosato
Superiore provinciale