Cari fratelli Oblati e cari membri della famiglia Oblata,
Con gioia e gratitudine ricordiamo e celebriamo l’anniversario della nascita della nostra Congregazione, l’inizio della nostra vita comunitaria. Il 25 gennaio 1816, Sant’Eugenio de Mazenod andò a vivere nell’ex monastero carmelitano di Aix-en-Provence. Padre Tempier si trovava lì già da alcuni giorni. Iniziarono in tre: gli altri si sarebbero uniti a loro a metà febbraio del 1816.
Quest’anno, la celebrazione e l’espressione della gratitudine per i nostri inizi coincidono con la celebrazione della Chiesa del Giubileo della Salvezza: 2025 anni dalla nascita di Gesù, il Figlio di Dio, avvenuta a Betlemme. In questo Anno Santo, Papa Francesco ci invita a vivere secondo il motto: “Pellegrini di speranza”. Nella Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, Spes non confundit, «La speranza non delude» (Rm 5,5), viene spiegato questo tema. Nella Bolla si illustra cos’è la speranza, quali sono le sue fonti e quali segni di speranza esistono nel mondo. Siamo chiamati inoltre a rispondere alle richieste di speranza che arrivano da tutto il mondo, che sorgono da tante situazioni difficili.
Il 24 dicembre 2024, prima della celebrazione della messa della vigilia di Natale, Papa Francesco ha aperto la Porta del Giubileo. Con questo gesto ha inaugurato ufficialmente “l’Anno Giubilare”, un tempo sempre di perdono, di riconciliazione, di remissione dai debiti e di ritorno a una vita giusta, anche nelle opere.
Per questo motivo, celebrando quest’anno l’anniversario degli inizi della nostra Congregazione, siamo invitati a viverlo nello spirito del Giubileo dell’Incarnazione. Oltretutto, dopo il 37° Capitolo Generale, stiamo cercando proprio di rinnovare e rafforzare la nostra vita e la nostra missione facendoci ispirare dallo slogan “Pellegrini di speranza in comunione”, un motto molto simile a quello proposto da Papa Francesco per l’Anno Santo.
I tre aspetti richiamati dallo slogan sono molto importanti ed essenziali nel nostro carisma. Siamo pellegrini: sempre in cammino, lungo i diversi sentieri che ci conducono ai luoghi della missione; cerchiamo sempre di rinnovarci e siamo sulla buona strada. Siamo pellegrini che portano speranza a coloro che la cercano e la invocano a gran voce. E lo facciamo insieme, come comunità, in comunione con gli Oblati e con quanti desiderano vivere il carisma oblato.
In questo anniversario della fondazione della prima comunità oblata, vorrei riflettere sulla nostra vita in comunione, e su come questa ci renda pellegrini, che portano e danno speranza agli altri.
Comincerò indicando alcuni testi delle nostre Costituzioni e Regole, che parlano di come vivere concretamente la vita comunitaria.
La Costituzione 39 ci dice: “Le nostre comunità sono caratterizzate per uno spirito di gioia e semplicità. Mettendo in comune ciò che siamo e ciò che abbiamo, troveremo accoglienza e sostegno. Ciascuno metterà al servizio di tutti i suoi doni di amicizia e i talenti ricevuti da Dio. Questa comunione contribuirà ad intensificare la nostra vita spirituale, la crescita intellettuale e l’azione apostolica. Responsabili gli uni degli altri, sapremo vivere la correzione fraterna e il perdono, nell’umiltà e nella forza della carità.” (C39)
La Costituzione 38, recita: “Uniti nell’obbedienza e nella carità, tutti, sacerdoti e fratelli, sono solidali gli uni gli altri nella vita e nell’azione missionaria…” (C38) E La Costituzione 21: “Soggetti alla legge comune del lavoro, e ciascuno contribuendo per la sua parte al sostentamento e all’apostolato della propria comunità…” (C21)
Queste costituzioni costituiscono un invito chiaro a convertirci sempre di più in membri a pieno diritto nella comunità: non semplicemente come fratelli che vivono sotto lo stesso tetto, ma come persone che si sentono pienamente responsabili e di tutti coloro che vivono in essa.
Sant’Eugenio de Mazenod voleva che la comunità oblata non fosse semplicemente una squadra, nè un gruppo di persone – sebbene condividano la stessa missione e gli stessi ideali -, ma che fossimo una famiglia, la famiglia più unita sulla Terra. Sappiamo bene che in una famiglia, i legami tra le persone che la costituiscono sono forti, ci si sente responsabili gli uni degli altri, ci si prende cura vicendevolmente; vige l’amore come regola unica, che guida la vita della famiglia. In famiglia riceviamo molto, ma siamo anche chiamati a contribuire ad essa. In una famiglia i membri si conoscono bene, guardano gli altri membri e si accorgono facilmente se sono contenti o sono alle prese con qualche tristezza o sofferenza; e offrono sempre il loro aiuto quando necessario.
Le nostre comunità sono invitate a riflettere l’immagine di una buona famiglia.
Vorrei invitare tutti ad approfittare dell’occasione offerta dall’anniversario della fondazione della prima comunità Oblata per riflettere sul contributo che ciascuno di noi dà alla vita della comunità. Dedico pienamente il mio tempo, il mio lavoro, il mio sostegno e le mie preghiere alla comunità? Mi rendo pienamente disponibile agli altri e alla missione della comunità? C’è spesso la tentazione di aspettarsi di più dalla comunità piuttosto che darle qualcosa. Come Missionari Oblati di Maria Immacolata, la nostra vocazione è quella di offrire tutto ciò che siamo e metterci al servizio della comunità, al servizio della missione che si realizza attraverso la comunità.
Il 37° Capitolo generale ci chiama non solo alla collaborazione, allo scambio e all’aiuto, ma anche all’interdipendenza: «Integrare l’interdipendenza significa imparare a vivere come membra di un solo corpo» (PHC 14.2). Il capitolo parla più precisamente di interdipendenza tra comunità o tra unità, ma possiamo facilmente applicarlo all’interdipendenza tra i membri di una stessa comunità.
La responsabilità dovrebbe essere uno dei tratti distintivi principali di tutti gli Oblati e dei membri della famiglia Oblata. Ovunque manchi responsabilità nei confronti della comunità, la vita e la qualità della comunità ne risentono. Siamo chiamati a dare il nostro contributo alla comunità nel suo insieme, al suo lavoro, alla sua vita spirituale. Siamo responsabili tanto delle grandi cose della comunità come di quelle più piccole. E anche se le cose più piccole possono non sembrare così importanti, lo sono comunque, e fanno parte degli aspetti quotidiani della vita comunitaria: cose semplici come pulire, mettere le cose al posto giusto, una buona comunicazione, ecc.
Preoccupati di come vive la comunità; preoccupati di conoscere gli spazi della casa dove si svolge la vita comune. Vivi la comunità “ad occhi aperti”. Non aspettare che sia qualcun altro a fare qualcosa, ma chiediti: “cosa posso fare io?”. Il superiore non è l’unico responsabile della comunità. La comunità appartiene a tutti. E tutti ne siamo responsabili.
Commentando le Costituzioni citate, p. Jetté parla della necessità di un progetto comunitario: se non c’è un progetto comunitario, non c’è una vera comunità religiosa apostolica. Elaborare un chiaro progetto comunitario deve essere una delle prime preoccupazioni degli Oblati che vivono in una comunità. È necessario farlo tenendo conto delle esigenze missionarie esistenti: e nessun progetto personale dovrebbe avere la precedenza sul programma comunitario.
Vorrei ribadire l’invito a riflettere sulla partecipazione e sul contributo di ciascuno di noi alla vita comunitaria, che è essenziale per il nostro carisma. Cosa possiamo migliorare come individui e come comunità? Come possiamo vivere meglio la chiamata alla responsabilità degli uni verso gli altri, alla responsabilità verso la comunità, all’interdipendenza?
La comunità deve creare spazi per aiutare i suoi membri a conoscersi di più tra di loro, comprendere meglio i bisogni e il sentire di tutti. Deve inoltre creare spazi dedicati al discernimento, alla pianificazione e alla valutazione comuni.
La vita comunitaria, così come una buona vita familiare, è oggigiorno un desiderio di molte persone: continua a rappresentare una sfida nel mondo odierno. Noi, come Oblati e come Famiglia Oblata, vivendo bene la nostra chiamata a vivere la vita missionaria in comunità e attraverso la comunità, possiamo essere una testimonianza forte di come ci si prende cura gli uni degli altri, di come possiamo offrire la nostra vita agli altri con amore e dedizione. Senza scadere nella rivalità, senza schiacciare gli altri, ma donandosi e mettendosi al servizio degli altri, come Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire.
Come pellegrini di speranza, dobbiamo essere consapevoli che se non siamo in grado di dare speranza ai membri delle nostre comunità, non saremo in grado di dare alcuna speranza nemmeno alle persone attorno a noi.
Vorrei concludere questa riflessione con le parole che Sant’Eugenio de Mazenod scrisse a fr. Guibert il 20 gennaio 1823: «Noi formiamo una unica famiglia, in cui tutti i membri non desiderano altro che avere un cuore solo e un’anima sola». Che questa sia la nostra realtà!
Tornando alla celebrazione dell’Anno Giubilare della Redenzione, ci si aspetta che giungeranno a Roma tantissimi pellegrini. Tra loro ci saranno probabilmente anche molti Oblati e gruppi organizzati o accompagnati da Oblati o associati agli Oblati. Noi Oblati residenti a Roma vorremmo offrirvi il nostro aiuto a guidarvi in modo particolare nei luoghi della Città Eterna legati a Sant’Eugenio de Mazenod. Ciò potrebbe aiutare tutti noi ad approfondire la nostra conoscenza di lui, a seguire il suo esempio e a vivere meglio il carisma.
Che Dio vi benedica e vi riempia della gioia di far parte del carisma oblato.
Roma, 25 gennaio 2025
Antoni BOCHM OMI
Vicario generale