Tratto da: “Un anno con S. Eugenio e i suoi Oblati” di p. Fabio Ciardi. 30 marzo.
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“Rispondere alla sete di speranza del nostro mondo” (TE, p. 12). Così l’ultimo Capitolo descrive il contenuto della nostra missione. La perdita di speranza è il grande pericolo della post-modernità, che minaccia anche i cristiani della nostra epoca.
Come fare nascere in noi la speranza? Abbiamo bisogno di una vita spirituale intensa, “mistica”! Tutto quello che la costituzione 33 dice dell’Eucaristia, della Parola di Dio, della Liturgia delle Ore, della preghiera silenziosa e prolungata, del sacramento della riconciliazione, non è esagerato. Potremo trovare il nostro alimento, in particolare, nei testi della Scrittura che parlano dell’esilio, nel secondo Isaia o nell’Esodo.
Come trasmettere questa speranza? Se certi mezzi di comunicazione sono meno compresi in una cultura formata dai media, ci sono ancora modi semplici per trasmettere la speranza di Cristo: l’attenzione alle persone, l’ospitalità delle comunità, la cura dei più poveri fra i poveri. Sant’Eugenio e i suoi compagni, così come il beato Giuseppe Gérard, non hanno aspettato che le persone andassero da loro. Sono andati a far loro visita, preferendo gli ammalati e i moribondi con malattie contagiose. Oltre ad annunciare la Parola dove possibile, i missionari oblati hanno sempre costruito scuole e formato responsabili, fondato ospedali e promosso l’agricoltura, lottato per la giustizia e il cambiamento delle strutture, promosso l’imparzialità e difeso la loro gente, facendo in modo di far sentire la voce dei senza voce.
Abbiamo nella Congregazione molti esempi di testimoni della speranza in situazioni difficilissime: Fra questi alcune figure profetiche come il beato Joseph Cebula, Albert Lacombe, Maurice Lefebvre, Benjamin de Jesus, Denis Hurley, per citarne solo uno per Regione. (W. Steckling, La missione degli Oblati oggi, Lettera alla Congregazione, 21 novembre 2006)